
Immagine presa da qui
Quando si intraprende un nuovo percorso si tende ad ascoltare la propria voce, perché quella degli altri potrebbe farci perdere. Forse è per questo che qui mi capita di ricevere domande la cui risposta non interessa nessuno. Sono solo lo spunto, il pretesto, per parlare di sé. La propria voce è rassicurante, una guida nella nebbia in cui si galleggia a stento, e ci si scontra magari con i propri limiti, la propria incapacità, le proprie carenze. Eppure sarebbe tanto più logico ascoltare. In un paese straniero, ma non solo, ascoltare l’altro può arricchire, creare relazioni, magari semplici interazioni. E farci sentire meno soli.
Non è facile ascoltare. Ci vuole dedizione, curiosità, pazienza. Ci vuole desiderio di apertura. La nostra voce è l’ancora cui ci appigliamo quando tutto intorno a noi suona “diverso”, è la sicurezza di esistere, uguali a noi stessi, in ogni luogo. La nostra voce diventa il nostro lucchetto, la serratura che ci chiude nel nostro guscio di protezione e non ci fa rischiare di incontrare l’altro. Io parlo molto, ma ho imparato ad ascoltare. Voglio raccontarlo, perché non l’ho imparato così, per educazione ricevuta o per indole. Ho un amico non udente, che non usa il linguaggio dei gesti. Lui parla e legge le labbra. Mi interessava ciò che aveva da raccontare, mi interessava la sua amicizia, e allora ho imparato. Ad ascoltarlo, fino alla fine, senza interrompere, e a parlargli, lentamente, scandendo bene ogni sillaba. Ho dovuto interpretare alcuni suoni, ho dovuto fidarmi di ciò che mi dicevano gli occhi, la gestualità, le pause. Ho imparato la sua lingua, e questo mi dico ogni volta che faccio una domanda e non attendo la risposta: ricordati di ascoltare.
Questo è anche ciò che faccio quando parlano i tedeschi: ascolto e guardo. E imparo.
Sui social network ci sono ogni giorno decine di post, status, richieste che nascono come domande. A volte rispondo. A volte mi defilo. Troppo spesso chi scrive ha solo voglia di ascoltare sé stesso. Da solo nel suo fantastico mondo virtuale. Perché ha paura.
Che dire. Grande. te lo scrivo anche qui.
E io ti ringrazio anche qui…