Alice aveva trovato il suo buco nero e vi era precipitata chiudendo gli occhi, perché in fondo aveva paura del coniglio bianco e di quell’assurdo orologio da panciotto. Di una cosa sola era certa: sarebbe arrivata in fondo e si sarebbe rialzata, se nella caduta non si fosse fatta troppo male.
Una volta le era capitata una cosa simile con Maurice. Si era buttata, lo aveva seguito in quel precipizio misterioso e affascinante che lui chiamava “tunnel dell’amore”. Ma aveva tenuto gli occhi aperti, perché era curiosa, e aveva visto tutto. Le luci, le ombre, i colori, il brivido, tutto le era sembrato di incommensurabile bellezza. Più cadeva, più tutto sembrava intenso. Finché non giunse l’oscurità impenetrabile del fondo, dove perse Maurice e sé stessa. Si ruppe qualche osso quando toccò il fondo, e conobbe il dolore. Per molto tempo, in seguito, ignorò volutamente qualsiasi pertugio volesse in qualche modo attirarla a sé.
E adesso quel coniglio. Con l’orologio nel panciotto. Non l’aveva chiamata, non le aveva chiesto di seguirlo. Per questo Alice decise di farlo. Ad occhi chiusi. Per vincere la paura di perdere le cose belle che avrebbe di certo visto. E quelle brutte.