I segreti degli scrittori: Sabrina Grementieri risponde alle mie domande indiscrete

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Voglio inaugurare oggi una sorta di rubrica che parli di scrittori. Niente di nuovo, direte voi, parli spesso di questo argomento. Invece no, parlo spesso di scrittura, e di cosa e come devono fare oggi gli scrittori per promuoversi, per farsi leggere, con o senza il supporto di un editore. Voglio provare a fare qualcosa di diverso e, ritengo, più utile per tutti: scoprire quali percorsi hanno scelto, intrapreso, affrontato quegli autori che, a mio avviso, hanno raggiunto dei risultati soddisfacenti. Il genere di soddisfazioni poi sono del tutto soggettive, ma, siamo onesti, come scrittori le ambizioni sono più o meno sempre le stesse, per tutti. Comincio con una scrittrice che conosco personalmente e che, direttamente o indirettamente, seguo da qualche anno. Le ho sottoposto alcune domande, per mia curiosità personale e per colmare quei “vuoti informativi” che credo possano interessare molti di noi.

image1 (1)Conosco Sabrina Grementieri dal 2012, quando partecipò con me all’avventura di NoBrandArt a Più Libri Più Liberi (qui potete leggere cosa fu quella eccezionale iniziativa).  Lei era una dei 23 professionisti della scrittura, autori, grafici, traduttori, editor che, in quegli straordinari giorni si misero in gioco in prima persona partecipando alla Fiera senza il supporto di alcun editore.

Mi colpì di lei la dolcezza e la determinazione, oltre alla sua passione per i libri e la scrittura. Allora era uscito, pubblicato con una piccola CE, Noccioli di ciliegie (libro che ho letto e che fa parte della mia libreria), e ricordo che parlammo delle difficoltà che incontravano i nuovi autori per emergere e di quanto fosse faticosa l’autopromozione.

Ho seguito Sabrina negli anni successivi, ho esultato con lei per le successive pubblicazioni, prima con Emma Books, poi con YouFeel di Rizzoli, per giungere all’ultima novità: una pubblicazione con una CE mainstream come Sperling & Kupfer.

C: Cara Sabrina, ne hai fatta di strada, complimenti! So che sei socia di EWWA sin dagli albori. Ritieni ti sia stato utile far parte di un gruppo così eterogeneo, almeno per quanto riguarda la scrittura? Pensi che le donne, nel mondo dell’editoria, possano davvero aiutare altre donne?

S: Ciao Cetta, innanzitutto grazie per le tue belle parole e il sostegno.

Per quanto riguarda EWWA, posso dire che per me è stata una fonte preziosa di informazioni e insegnamenti. In questi tre anni, grazie ai workshop organizzati, ho avuto modo di imparare molte cose sia sulla scrittura sia sul mondo editoriale che, confesso, non conoscevo affatto. Siccome non è un’associazione di sole scrittrici, ma anche di traduttrici, giornaliste, avvocati, sceneggiatrici e altro ancora, sono molte le informazioni e il supporto che possiamo ricevere. L’idea è nata sull’onda del successo di simili associazioni femminili americane. Personalmente credo ci sia ancora un po’ di strada da fare per raggiungere i loro risultati, ma sono convinta che le donne possano davvero fare molto quando decidono di unirsi e collaborare.

C: Emma Books pubblica solo in digitale. Come ci sei arrivata e come hai affrontato la promozione e divulgazione di un libro NON di carta? Cosa hai dovuto organizzare in prima persona e cosa ha organizzato la CE?

S: Ho conosciuto Maria Paola Romeo, editore di Emma Books al Women’s Fiction Festival di Matera. Le parlai di un romanzo che desideravo scrivere (proprio La Finestra sul Mare, uscito a giugno con Sperling & Kupfer) e mi chiese di mandarglielo non appena l’avessi avuto pronto. Le è piaciuto e da lì è iniziato il nostro rapporto di lavoro. La pubblicazione de Il Principe Pirata, il mio breve romance storico, con la sua casa editrice è avvenuto più tardi. Avevo un racconto finalista di un concorso che “voleva” essere ampliato e così è nato il romanzo.

La promozione e divulgazione di un libro NON cartaceo non è semplice. Al di fuori della ristretta cerchia di lettori forti, che ormai leggono quasi tutto in digitale, il lettore italiano preferisce ancora il cartaceo. Sapessi quante volte mi è stato chiesto: ma allora quando lo stampi, il tuo libro? Perché io lo leggo solo sulla carta. E le facce deluse quando gli dici che non accadrà? Non è mai piacevole. Anche perché li capisco: anche io amo il libro stampato. Ho una libreria con più di mille libri che spolvero e curo con affetto, e non li sostituirei con nient’altro. Ma, sia da lettrice che da scrittrice, non posso chiudere gli occhi di fronte alle grandi opportunità del digitale. In sette giorni di vacanza ho letto cinque libri, l’eReader infilato in borsa pronto per ogni momento libero. E vogliamo parlare dell’investimento? Io che amo i libri con le copertine rigide? 

Ho fatto una presentazione per uno dei miei eBook. Ho proiettato foto dell’ambientazione, ho parlato delle ricerche e della stesura del romanzo. E ho guardato con un po’ di sconforto le persone andare via insoddisfatte perché non avevano nulla tra le mani. Ma è anche vero che in questi anni ho aiutato a “convertire ” al digitale persone che non avrei mai immaginato, dunque c’è sempre speranza!

C: Veniamo a YouFeel. Sul sito Rizzoli c’è scritto “invia il tuo manoscritto”, sempre che corrisponda alle linee guida, e la pubblicazione sembra quasi cosa certa. Ma non è così. Pensi che far parte di EWWA ti abbia aiutato? Se sì, come? Voglio dare per scontato che il primo criterio di valutazione di una CE sia la qualità del testo, ovviamente e soprattutto nel tuo caso, ma sappiamo come sia difficile emergere tra le migliaia di files che giungono agli editor.

S: Come ti dicevo prima, fare parte di EWWA mi ha aiutato a migliorare la mia scrittura. Non credo affatto che gli autori vengano selezionati privilegiando l’iscrizione all’associazione. Ho avuto modo di conoscere Alessandra Bazardi, che si occupa della selezione dei manoscritti per Youfeel e ti assicuro che la qualità è il suo primo obiettivo. Con il mercato intasato di romanzi (grazie ma anche per colpa della possibilità data a chiunque di mettere in rete le proprie creazioni) credo che per emergere sia davvero importante la qualità. Che, ahimè, non sempre premia, o premia in tempi brevi, ma di questo rimango fermamente convinta.

C: Come hai proceduto per la promozione di questa nuova pubblicazione digitale? Trovo questo argomento molto interessante, perché tutti noi sappiamo come il pubblico lettore sia ancora diffidente, almeno in Italia, nei confronti degli eBook, e tra scrittori ci siamo spesso interrogati su quali strategie di promozione adottare. Una presentazione classica è possibile? O è meglio scegliere altri canali? Blog tour? Recensioni? La CE, in questo caso Rizzoli, ha aiutato?

S: Mi sono trovata molto bene nel gruppo di Youfeel perché ho trovato molta collaborazione tra le autrici. Ci si sostiene a vicenda, si cerca di diffondere reciprocamente le proprie uscite. Le recensioni delle blogger sono molto importanti. Le case editrici stesse si rivolgono a loro per le recensioni, e alcune di loro sono diventate delle vere professioniste. Non so se esita una vera e propria strategia vincente: non credo nello spam selvaggio, io per prima non sopporto di trovare tutti i giorni a tutte le ore, nella mia bacheca o nei gruppi dei quali faccio parte, sempre gli stessi romanzi. Però è anche vero che dobbiamo farci conoscere. Dunque blog tour, interviste, recensioni, qualche immagine carina con degli estratti da pubblicare ogni tanto in rete. Come ti dicevo prima, ho anche provato la via della presentazione classica, ma devi dare qualcosa al pubblico. Io non sono molto esperta, ma dicono che ci sia il modo per far scaricare il proprio eBook come regalo al lettore, ma poi non tutti coloro che vengono alle presentazioni leggono in digitale dunque mi viene da dire che non è la strada promozionale più indicata.

C: Arriviamo a La finestra sul mare, pubblicata con Sperling & Kupfer. Per prima cosa congratulazioni, davvero un belLa-finestra-sul-mare_Sabrina-Grementieri risultato. Come si arriva a un editore Mainstream? Molti noti editor dicono che, quando si invia un manoscritto, bisogna sapere a chi inviare, conoscere l’interlocutore. Mai inviare alla cieca se non si vuole rischiare di non essere mai letti. Per te è stato così? Racconta.

S: Confermo che inviare alla cieca è un grave errore. È importante informarsi su cosa pubblica la CE alla quale hai intenzione di mandare il manoscritto: se invio un romanzo rosa a una casa editrice che pubblica solo saggistica mi cestinano prima di finire di leggere la sinossi. E ci faccio anche una triste figura.

Io sono arrivata alla Sperling & Kupfer grazie al mio agente. Lei naturalmente sapeva a quali editori rivolgersi, quelli interessati al mio genere, e ciononostante non è stato semplice. Per quanto l’agente faccia una sorta di prima selezione, le case editrici hanno tempi molto lunghi, e ho ricevuto dei rifiuti dopo mesi di attese. Alla fine la Sperling & Kupfer mi ha dato fiducia e ora eccomi qui. All’inizio di una lunga strada in salita, ma sto cercando di fare del mio meglio. Essere pubblicati da una CE tradizionale non è un punto di arrivo, ma di partenza, e spero con tutto il cuore di meritare questa fiducia!

Un piccolo inciso. Ho sempre pensato che un agente letterario fosse una figura importante nel mondo dell’editoria, un filtro autorevole di cui gli editori si fidano, l’intermediario ottimale del nostro lavoro. Negli Stati Uniti gli scrittori non si muovono neppure senza avere un agente (e questo vale per tutte le arti), mentre in Italia si tratta di un soggetto ancora male inquadrato. Leggo spessissimo di autori che si lamentano perché l’agente tal dei tali ha chiesto loro soldi per “leggere il manoscritto” e compilare la “scheda di valutazione”, che diffidano altri autori dal rivolgersi a un’agenzia, che ritengono sia scandaloso chiedere soldi e che gli agenti letterari sono paragonabili alle EAP. Ecco, diciamo che anche in questo ambiente c’è la qualità e c’è la fuffa, e da quest’ultima bisogna sempre stare alla larga. Per quanto riguarda chi fa questo mestiere con serietà e passione, invece, bisogna ricordare sempre che il lavoro si DEVE pagare e che un agente che decide di rappresentarci è uno strumento formidabile per fare quel famoso “salto di qualità” cui tutti aspiriamo. Certo, non è detto che pubblicare un romanzo con una media o grande casa editrice ci sollevi da tutte le incombenze che dobbiamo affrontare da self o con un piccolo editore, specie per quanto riguarda la promozione del nostro libro, ma di sicuro ci fa acquisire maggior credibilità e visibilità, oltre a una distribuzione decisamente più capillare.

C: Per finire, dove vuole arrivare Sabrina Grementieri come scrittrice? Azzarda un sogno e che sia grande.

S: È quello che dico sempre ai miei bimbi: sognate sempre in grande! Sinceramente in questi cinque anni ho fatto molta strada, raggiungendo un traguardo insperato. Il mio sogno è avere la possibilità di continuare a scrivere e pubblicare, migliorare ancora la tecnica, e poter pubblicare anche all’estero. So che con La Finestra sul Mare c’è stato un piccolo salto di qualità rispetto ai precedenti romanzi, dunque io continuerò a lavorare con impegno e passione. I riscontri che ho avuto finora sono davvero incoraggianti. Lo sapevi che la scrittura era il mio sogno nel cassetto? Ora che ha preso il volo devo darmi da fare per stargli dietro!

Grazie Cetta!

I libri e il web. Come presentare un eBook?

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Prendo spunto da un articolo recentemente apparso sul sito di una casa editrice, Zandegù. Il titolo è “Perché non faremo più presentazioni di libri”, che già di per sé pare una provocazione. Le motivazioni addotte sono sicuramente valide, almeno dal loro punto di vista: eventi spesso deserti, vendite poco o nulla del tutto, costi mai recuperati per spostamenti e logistica. Stiamo parlando di autori magari non conosciutissimi, magari non affermatissimi, autori che, quindi, non hanno ancora una schiera di estimatori su tutto il territorio nazionale, pronta a spostarsi per seguire il proprio beniamino. Autori emergenti, insomma. Il fatto è che il fenomeno delle presentazioni semi deserte non riguarda solo questi scrittori. Mi è capitato di partecipare davvero a moltissimi eventi del genere e, tranne alcuni casi in cui il “nome” tirava come le mosche al miele, spesso c’era poca partecipazione. I numeri citati nell’articolo sono perlopiù corretti, nel senso che si va dalle 20/30 persone alle 50/60, ed è già un grande successo. Io mi sono attestata, qualche volta, a metà strada tra le due cifre, e si trattava sempre della “prima” uscita del romanzo. Ma è anche capitato di avere una decina di persone presenti. E si fa lo stesso, con modalità diverse magari, con un rapporto più intimo tra scrittore e lettore, ma la presentazione non si può annullare, per rispetto di chi è venuto, per rispetto del lavoro svolto. (Leggete qui alcuni suggerimenti per una presentazione pubblicati da Vibrisse)

Ma allora dov’è lo sbaglio? Cosa non va in questo particolare metodo di promozione del libro? C’è stata una piccola discussione sui social network su questo argomento, ma andiamo per gradi. Perché, alla fine dell’articolo, la CE Zandegù si pone il problema di come promuovere un eBook, quindi un libro digitale, impalpabile, senza un corpo ma con un’anima meritevole di essere conosciuta. Dicevo andiamo per gradi perché la cosa più insensata, secondo me, è pensare che le presentazioni servano per vendere libri. Oddio, certo che si vendono anche libri – specie se la presentazione si fa in libreria – ma, se non si esce dal tunnel della vendita ad ogni costo, probabilmente le presentazioni andranno sempre più deserte, perché i lettori si sentono come intrappolati quando partecipano, obbligati all’acquisto, costretti all’ascolto passivo a volte con tanto di spoiler. Ecco perché una presentazione dovrebbe essere solo un momento di aggregazione, di spettacolo, cosa che stanno mettendo in pratica diversi librai, un po’ folli e molto appassionati, ma che hanno capito che le presentazioni concepite come una volta non funzionano più. Ovviamente la piccola o media casa editrice XYZ che ora mi sta leggendo protesterà, perché ha bisogno di vendere libri, perché la distribuzione costa troppo e quindi le presentazioni servono per fare cassa, perché “pubblicare autori emergenti comporta il coinvolgimento degli stessi alla promozione del loro libro, e sono loro che dovrebbero attrarre pubblico (???)”. Chiariamoci, editori cari, noi siamo scrittori e scriviamo, voi siete imprenditori e vendete. Poi va da sé che ci lasciamo coinvolgere, che strombazziamo a destra e a manca la pubblicazione del nostro libro e relativa conseguente presentazione. Tutto questo è logico, in un sistema di reciproco aiuto, purché l’equazione non sia invertita. Io, autore, non posso sentirmi in colpa se alla presentazione del mio libro vengono solo dieci persone: qualcosa non ha funzionato, e non può essere il mio romanzo che ancora nessuno conosce… Suggerisco quindi ai piccoli e medi editori, come già fatto in post precedenti, di concentrare i loro sforzi economici su altri fronti, che vanno da un ufficio stampa adeguato a social media marketing fatto come si deve, a richieste di recensioni e articoli sui media classici, etc etc etc. Ma che ve lo devo dire io?

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Noi autori Indie lo sappiamo bene quanto sia difficile promuovere il proprio libro ma, se ci affidiamo a una casa editrice, è proprio per poterci dedicare ad altro. Scrivere, per esempio. Diverso è il caso in cui si tratta della pubblicazione di un eBook. E anche qui i selfpublisher, gli autori indipendenti, hanno sperimentato sulla propria pelle quanto sia complicato presentarli. Non si può andare in libreria, perché i librai, per ovvie ragioni, non vedono proprio di buon occhio il libro digitale. Anzi, come tutti, non lo vedono affatto perché, fisicamente, non c’è. Si può pensare ad altre location: teatri, caffè letterari, pub, ristoranti addirittura. Ma allora non si potranno più concepire presentazioni classiche, con l’autore e il relatore in cattedra a parlare, parlare, parlare… sì, ci potrà anche essere qualche intervallo musicale, ma diciamolo, che noia! Una volta ho pensato a una “messa in scena”. Volevo presentare “Quella volta che sono morta” e l’ho fatto in una specie di teatro, nel cuore di Roma, con la recitazione vera e propria di alcuni brani. Poca gente (era San Valentino), qualcuno ha anche prenotato e successivamente acquistato l’ebook ma, considerando che lo stesso aveva un costo di 1 €, mi dite voi quanto ne possa essere valsa la pena? In quel momento ho capito che, udite udite, un libro virtuale può essere promosso solo con mezzi virtuali. Poi, magari, ci si può incontrare di persona per parlarne, dopo che è stato letto, davanti a una pizza o in una biblioteca, in un contesto diverso (pensare ad una conferenza sulle tematiche trattate, ad esempio, e con altri “attori” partecipanti, potrebbe essere una buona soluzione) da quello strettamente legato ai libri. Resta il fatto che un eBook ha solo l’anima, e per farla conoscere e apprezzare al pubblico lettore, l’anima di chi lo ha scritto deve essere molto più luminosa. E le cose sono due: o l’editore ci crede e si preoccupa di fare il suo mestiere di imprenditore, o è meglio che non lo pubblichi affatto. E per l’autore vale lo stesso discorso, che si tratti di self o di Indie: o hai un’anima più luminosa del tuo stesso libro, capace di attrarre lettori sulla fiducia, o lascia perdere. Non è mai morto nessuno per non aver pubblicato un libro.

I libri e il web. Come raggiungere il proprio pubblico di riferimento? I generi letterari.

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Trovare il proprio pubblico di riferimento, il proprio target, per dirlo in termini adatti al marketing. Ma che brutta cosa. Cerchiamo di capirci: non è brutto trovare il proprio pubblico di riferimento, è brutto dover fare la fatica di cercarlo. Perché, come è intuitivo, uno scrittore vorrebbe che fosse la sua casa editrice a svolgere questo compitino. E se si tratta di un selfpublisher? E se si tratta di un Indie? Va bene, se hai voluto la bicicletta devi anche pedalare, vero, ma questo non significa che sia facile o piacevole.

Dopo tutti gli articoli che ho scritto su come farsi conoscere attraverso il web, sugli strumenti utili per un autore Indie 2.0, dopo aver confezionato addirittura una guida, ecco qui la questione più importante. Sì, perché alla fine, in quella rete enorme e eterogenea di lettori che, casualmente o volutamente, incontriamo nel nostro cammino, dobbiamo scegliere quali pesciolini sono più adatti al nostro banchetto. Sembra brutto definire i lettori dei pesciolini che abboccano all’amo o si fanno catturare dalla nostra rete, pare quasi un inganno. Ma nel mondo delle metafore questa è la meno peggio. Tutti ci facciamo irretire da qualcosa, anche quando siamo convinti di operare una scelta individuale. C’è sempre qualcuno che è in grado di sollecitare un nostro lato edonistico e di spingerci in una direzione piuttosto che in un’altra. Ma lasciamo la filosofia ai filosofi. Parliamo di cose serie.

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Per trovare il nostro pubblico dobbiamo sapere che genere di storie scriviamo.
Questo è il punto essenziale. Io invidio tantissimo gli autori di thriller, noir, fantascienza, fantasy, young adult, erotico, narrativa rosa. Loro sanno benissimo qual è il genere che trattano, non ci sono dubbi in proposito. E il “mercato editoriale” è ben strutturato per ricevere le loro proposte, perché è più facile incanalare le risorse (pubblicitarie, economiche) in una direzione ben precisa sapendo che, se il prodotto è buono, si otterrano dei risultati, piuttosto che seminare in uno spazio e tempo indefiniti sperando che qualcosa accada. Questo è quanto accade con la narrativa generale. Mai termine poteva essere più disarmante. Davvero, se fossi un direttore di marketing e mi trovassi davanti a un prodotto così generico, alzerei le mani. Eppure io scrivo romanzi di narrativa generale, e come me molti altri. Ma allora che fare?

Bisogna scavare.
Chi scrive narrativa generale ha pochi limiti nella narrazione. Non ci sono cose tecniche e mondi futuri da inventare (fantascienza), né indagini verosimili da portare avanti e che abbiano un senso (thriller, noir). Non ci sono nomi, esseri strani, riti da rispettare e leggende (fantasy), né posizioni fantasiose in situazioni assurde da descrivere (erotico). Per non parlare di principi azzurri in scenari da favola o di giovani eroi alla conquista del mondo. Niente di tutto questo ma anche tutto questo. Nel senso che una storia di narrativa generale può contenere tutto, come un minestrone, e risultare credibile. Bisogna saperlo fare, però. Nessuno ci vieta di far incontrare al nostro protagonista, in una sera d’estate ai Tropici, con una luna grande che si specchia nel mare, una donna misteriosa, che magari compie antichi rituali e che, in un momento topico ed eccitante, aiuta il nostro eroe a trovare le risposte della sua vita. Che storia banale… Ecco, bisogna evitare di fare questo mix pasticciato, perché non ci aiuterà a trovare più lettori. Probabilmente li farà fuggire a gambe levate. Scrivere solo ciò di cui si ha competenza. Altrimenti si può sempre andare a coltivare pomodori, che nessuno ci ha ordinato di fare gli scrittori mediocri.

Chi scrive narrativa generale sa benissimo che, all’interno della sua storia, c’è di più di un semplice racconto. A volte c’è storia (per la collocazione temporale, per l’arco narrativo), a volte c’è crescita individuale (formazione), altre volte c’è denuncia (fatti di cronaca, rivolte sociali), altre ancora c’è il ricordo (i memoir sono stupendi, purché non siano autobiografie di perfetti sconosciuti). Insomma, sono davvero tantissimi gli ambiti in cui si può spaziare, quindi cerchiamoli. Quando mettiamo il punto finale alla nostra storia, abbiamo il dovere di sezionare il testo alla ricerca del messaggio più importante che abbiamo voluto inviare. Perché un messaggio c’è sempre, che ne siamo consapevoli o no. Una volta che lo abbiamo trovato, una volta che abbiamo deciso quale sia il più importante, allora possiamo anche targettizzare il nostro romanzo (immagino le smorfie di orrore che molti di voi avranno fatto). Sì, non è una brutta malattia. Dobbiamo dare un nome e cognome al nostro libro se vogliamo che sia trovato all’anagrafe scrittoria. Quindi:

  • Se è prevalente l’ambientazione storica, che sia lontana o un po’ più recente, avremo scritto un romanzo storico.
  • Se è prevalente la crescita interiore dei protagonisti, le relazioni interpersonali, la presa di coscienza, avremo scritto un romanzo di formazione.
  • Se raccontiamo fatti passati realmente accaduti che riteniamo debbano essere conosciuti, avremo scritto un memoir.
  • Se è prevalente la narrazione di fatti e situazioni attuali, che traggano spunto dalla cronaca o dalla realtà socio economica, avremo scritto un romanzo di narrativa contemporanea.

Insomma, sono tante le derive possibili, basta cercarle e avremo dato un “genere” al nostro libro. Ho detto al libro, non a noi come scrittori. Credo che, in linea generale, uno scrittore di fantascienza scriverà sempre fantascienza, come uno di thriller scriverà sempre thriller, e così via. Si tratta di specialisti nati, difficile far loro sperimentare altro. I generalisti sono più fortunati. Loro possono pescare ovunque, di volta in volta, e risultare credibili lo stesso. Per questo il “genere” non può essere affibbiato a loro come autori.

Forse solo nella letteratura sudamericana troviamo una categoria di autori che, pur scrivendo narrativa generale, quindi di fatto indefinibili, sono stati invece definiti. Sono i “visionari” come Marquez, la Allende, coloro che hanno inventato un genere tipico e assolutamente irripetibile in cui troviamo la cronaca, il misticismo, la formazione, la storia, la denuncia, il noir, il fantasy, tutto insomma. Che meraviglia! Quanto daremmo per poter inventare qualcosa di simile anche noi?

Rivolgiamoci al nostro pubblico.
Per ora e prima di diventare dei possibili premi Nobel per la letteratura, limitiamoci a scrivere belle storie e a proporle a quel pubblico che abbiamo individuato. Magari di nicchia, ma va bene. Se abbiamo scritto qualcosa di davvero interessante, sarà una nicchia che non ci abbandonerà. Rivolgiamoci a loro, immaginiamo di averli davanti e, come un inventore con il suo marchingegno, di spiegare con parole comprensibili cosa abbiamo voluto raccontare e perché. Se riusciremo a fare questo (nel chiuso della nostra stanza, davanti a uno specchio, insomma da soli), se riusciremo a convincere questo pubblico immaginario, allora sarà il momento di scrivere quelle parole pensate. Sarà il nostro “spot”, la nostra presentazione ufficiale. Non la sinossi, non il riassunto del romanzo per una casa editrice. Dovremo essere in grado di incuriosire senza svelare nulla, di attrarre senza circuire. Come? Beh, siamo scrittori, no?