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Da: Nata in una casa di donne.
Ora è tutto finito. La sofferenza, il dolore, hanno lasciato il posto a un senso sottile di leggerezza. Sei andato via in silenzio e l’ho sentito, quando hai deciso di lasciarci. La finestra si è aperta, un soffio d’aria fresca nella stanza è giunto come un balsamo ad asciugare lacrime inesistenti. “Vai, puoi andare tranquillo. Qui è tutto a posto, non ti devi più preoccupare”. E’ stato il mio commiato, e tu lo hai ascoltato.
Le ho radunate tutte qui, le tue donne, anche quelle venute dopo, le tue nipoti, e anche la piccola minoranza di nipoti maschi, a fare da contralto, a farti sentire meno solo. E sembra una festa sai? Ti piacerebbe…Tutte queste voci, queste parole che si rincorrono, questi toni in maggiore che pare di sentire un coro che si accorda prima di intonare una canzone. Tutto questo è per te, per celebrarti, per ricordare un’ultima volta, tutti insieme.
Voi siete nati insieme e insieme starete per sempre.
Sarete insieme quando le bianche ali della morte disperderanno i vostri giorni.
E insieme nella silenziosa memoria di dio.
Ma vi sia spazio nella vostra unione,
E tra voi danzino i venti dei cieli.
Amatevi l’un l’altro, ma non fatene una prigione d’amore:
Piuttosto vi sia un moto di mare tra le sponde delle vostre anime.
Khalil Gibran “Il Profeta”
“Ero nata in una casa di donne, prima di quattro figlie femmine, ma non ne ebbi la consapevolezza finché non nacque l’ultima, quando ormai avevo diciotto anni. Pure mio padre era un pò femmina, in fondo. Aveva dovuto adeguarsi alle circostanze, per spirito di sopravvivenza, per quieto vivere, o forse perché, in fondo, gli andava bene così. Ma non doveva essere stato facile per lui abituarsi all’eterno cicaleccio che gli ronzava intorno per tutta la giornata, voci di femmine dai toni sempre un pò sfumati verso l’alto, che usavano un gergo a lui sconosciuto, fatto di pause silenziose e improvvisi rovesci di parole, come gli acquazzoni estivi.
La prima donna era mia madre, primadonna in ogni senso, anche figurativo. Lei era l’eroina intrepida del suo personalissimo romanzo, quella fuggita dal profondo sud a metà degli anni cinquanta per darsi l’opportunità di vivere nel mondo cosiddetto civilizzato, ai bordi della grande città, dove tutto era possibile, persino trovare la felicità.”
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