Anna è tornata

Ci sono storie che meritano di essere raccontate, più e più volte, perché capita che l’attualità, la vita coi suoi contraccolpi, gli eventi che si susseguono giorno dopo giorno, le rendano sempre nuove, come se stessero accadendo ora. O poco prima.

Cosa impariamo noi dalla Storia, quella con la S maiuscola che studiamo sui libri? Non molto se poi non siamo in grado di cogliere segnali e sintomi nel nostro futuro presente, segnali e sintomi del fatto che ciò che abbiamo seminato a un cero punto lo dovremo raccogliere, che certi errori hanno sempre un prezzo, che il mondo è un sassolino piccolo piccolo in cui anche il tempo si contrae e siamo tutti destinati a incontrarci.

Questo per dire che la storia di Anna racconta del periodo della guerra nelle Colonie d’Africa, racconta quello che i nostri soldati, le nostre Camicie Nere, facevano in Somalia e Eritrea, racconta ciò che lì noi abbiamo lasciato, la nostra smania di grandezza, la nostra presunzione, la nostra stupidità, la nostra vergogna. E racconta l’amore di una donna che, come Penelope, aspetta il ritorno del suo uomo, mentre la vita l’attraversa e lascia segni indelebili.

Questa storia è successa davvero, io l’ho solo raccolta e romanzata un po’, ho cambiato qualche nome e aggiunto qualche personaggio, ma il succo è uno solo: Anna, la vera Anna, imparò la guerra e l’amore. E la tolleranza e il perdono. Noi oggi cosa abbiamo imparato?

Insomma… Anna è di nuovo in libreria, o meglio è possibile ordinarla sia nella versione digitale che in brossura, e ha anche un vestito nuovo!

Per ora potete trovarla qui e qui. 

“Il passato è una terra straniera; fanno le cose in modo diverso laggiù” [dall’incipit di Messaggero d’amore – Leslie Poles Hartley]

E anche un po’ di musica bella bella ci vuole, per celebrare…

Mi sono innamorata di te perché…

Ogni tanto dai social network o, più in generale, dal web, emergono ricordi, post scritti in momenti particolari e poi dimenticati. Proprio vero che “internet conserva tutto”… Che poi, a pensarci bene, non si tratta di dimenticare ciò che si scrive o che si fa in un dato momento. Si tratta semplicemente del fatto che c’è un tempo per ogni cosa, anche per ciò che si prova, e ci sono cassetti in cui conservare certi sentimenti che possono essere aperti al bisogno, per sorridere o emozionarsi ancora. La memoria ha questo potere straordinario di smussare gli angoli ai ricordi, così che anche i dolori appaiano sfocati, meno pungenti, quasi belli e le gioie spiccano come colori al neon nella nebbia.

Tre anni fa partecipai a un contest letterario organizzato da un blog amico, “Svolgimento – Tutta colpa della maestra”. Un blog molto bello dove i temi venivano svolti dai partecipanti proprio come a scuola: la maestra dava il titolo e gli alunni dovevano scrivere entro un dato tempo a disposizione. In occasione della festa di San Valentino il titolo proposto fu “Mi sono innamorato di te perché…” ed io scrissi il breve raccontino che vi ripropongo qui, per non perderlo più, e che potete trovare anche qui nel blog ospite, più che altro per leggere gli interessanti commenti a pié pagina.

E ora, miei cari, un po’ d’amore targato Cetta, per gradire.

Parlavi in modo strano, diverso dagli altri. Tu non gesticolavi, lo faceva la tua voce. Si spostava nell’aria, ondeggiante, come una musica mai sentita prima, e mi sono accorta, ormai troppo tardi, che il mio corpo ne seguiva il ritmo. Mi sono innamorata di te prima ancora di rendermene conto, prima di accorgermi che i tuoi occhi erano grandi per effetto delle lenti da vista, prima di toccare la tua pelle liscia e glabra, prima di percepire ciò che celava la tua mente, il tuo cuore. Mi sono innamorata di pancia, aggrappata a quel calore viscerale che saliva fino al petto ogni volta che annusavo la tua presenza. Mi sono innamorata d’estate, quando il giorno pare infinito e la notte ne rilascia il profumo, e tutto quel tempo amplificato è cassa di risonanza, è melodia, è sapore di aria e vita.

Mi sono innamorata di te perché tu eri la mia stagione più bella.

La memoria e il ricordo

Immagine presa da qui

Immagine presa da qui

La memoria. È la memoria che mi frega, non i ricordi. Quelli li vado a ripescare, alla bisogna, e mi ricarico di emozioni. La memoria no. Lei mi sorprende, ospite non convocato alla porta dei miei pensieri, e porta sempre qualcosa con sé. E non sempre è un bel regalo. Non riesco a dimenticare nulla, purtroppo.

La signora se ne sta lì, ferma, a guardare lo specchio d’acqua che ha davanti e che pare infinito. Non riesce a distogliersi da quella riflessione che, come il bisturi di un chirurgo, affonda nelle sue viscere fino all’osso. Né una foglia, né volo d’uccello, né alito di vento osano disturbare il suo silenzio. Il cielo riflesso nell’acqua crea strani disegni, come sirene affioranti e ammalianti, e in quella immobilità le immagini scorrono veloci, forsennate, senza ostacoli.

Il primo incontro, il primo bacio capitato per caso, il primo sguardo famelico. E poi le parole, tante parole dense e pesanti, da restare impresse nella carne, come un tatuaggio. Tante immagini che non riescono a costruire un ricordo, come se non appartenessero a lei. Fa male. La distanza non è solo questione di spazio o di tempo. Spesso è un necessario velo d’oblio. Era accaduto questo? La distanza aveva cancellato i ricordi? O forse serviva ancora più tempo, una diversa prospettiva…

Ecco, mancava l’emozione, l’empatia. Quell’urgenza che fa accatastare le memorie una sull’altra, perché diventino in fretta una parete, una stanza, una casa, qualcosa di solido in cui rifugiarsi alla bisogna. Perché si ha paura di dimenticare. Si perde un po’ di sé stessi quando si dimentica, si lasciano brandelli di emozioni in giro e si corre il rischio di non ritrovarli. Eppure sono stati importanti.

Si rivede in quella camera d’albergo, la signora. Sola. A ingoiare l’ennesimo rifiuto, l’ennesima separazione, l’ennesimo saluto. Quante volte ci si può salutare per sempre? Se lo chiedeva a ogni incontro. Riesce quasi a percepire la gioia del prima e la desolazione del poi. Come una frustata arriva anche il dolore e la determinazione affinché no, mai più, non gli permetterà più di farle male. Mancava la rabbia però, quella che riesce a provare adesso, osservando le immagini delle sue memorie riflesse nello specchio d’acqua. Perché non sono fuggita?

Già… perché fuggendo avrebbe perso anche il resto, il prima. Perché anche quel poco era tanto quando non si ha niente. Perché avere sé stessa non le bastava per volersi bene. Era necessario qualcuno con cui confrontarsi per sfidarsi a tornare, ogni volta, e abbandonarsi. Anche questo era amore. Ma a che prezzo?

Non riesce a costruire un ricordo, la signora, non uno che sia consolatorio. Nulla smuove quella piatta, uniforme, statica sequenza di immagini belle quanto dolorose. Potrebbe lanciare un sasso… Scuote la testa e si volta per andar via. Il richiamo stridente di un’alzavola solitaria scuote l’aria. Eccola, si tuffa per catturare la preda. Scompiglia la superficie dell’acqua e mescola i fotogrammi di memoria che vi erano impressi. La signora sorride. Forse ora nascerà un ricordo.