IO LO SONO [da Innocenza, che m’insegnò la vita]

Immagine originale di Andrea Gamberini

Immagine originale di Andrea Gamberini

Io lo sono

“E non guardarmi così, non riesco a sorreggerlo quello sguardo” “Così come?” “Ecco, così, come fai adesso. Mi fissi dritto nelle pupille, mi penetri dentro, con quella luce luminosa, sì proprio così, luce luminosa di suo, non riflessa, ammiccante, maliziosa. Pare che hai appena fatto sesso e te ne compiaci. E io non ce la faccio perché t’immagino e non ti posso avere, e mi si sciolgono le ginocchia e sento caldo nelle dita, delle mani, dei piedi. E ho l’affanno, lo vedi che ho l’affanno? Perché lo fai?” “Io non lo faccio. Io lo sono. Sono questo sguardo, sono questi occhi, sono ciò che vedi e che senti. Sono il pulsare del tuo desiderio che si confonde col mio.”

La luce tagliata dal filtro delle persiane ammorbidisce gli angoli acuti delle pareti nude, come me che sto qui e ti guardo, e non parlo. Ti guardo e basta. E questo è sufficiente a scuotermi in profondità. Forse è il mio turbamento che traspare, e tu lo leggi e lo traduci in parole, e il desiderio sale e rimbalza da me a te, da te a me.

“Lo stai facendo ancora, non distrarmi” “Non faccio nulla che non fai anche tu. Non te ne accorgi?” “Anche se me ne accorgessi devo far finta di niente, recitare la mia parte, non posso palesare…” “Palesare cosa?” “Tutto. Tutto questo sentire che mi fa uscire fuori di senno. Me li sento addosso i tuoi occhi che scrutano, scavano, le tue mani mi toccano, la tua pelle… ma quanta pelle hai?” “Tutta quella che riesci a contemplare.”

L’alba rende tutto più nitido, anche gli odori. Chissà perché col sorgere del sole arriva netto alle narici il profumo dell’aria, della terra, dell’erba. Si riesce a distinguerli, nessuna contaminazione, arrivano a ondate, in successione, come una processione odorosa. Il tuo odore. Non l’ho mai sentito ma lo conosco, lo riconosco. Parte dall’interno della mia bocca e sale su, mi solletica la gola mentre scivola nella testa e la pervade. Lo specchio mi rimanda la mia immagine in questo preciso istante. Sai che hai ragione? Pare che ho appena fatto sesso.

“Oggi non parliamo” “Ma lo stai facendo” “Non giocare con me” “Io non sto giocando. È così strano per te desiderare?” “È l’unica cosa importante, l’unica che conti per me. Desiderare è la molla che mi fa andare avanti, quella che mi spinge ad agire. Non potrei mai fare una cosa che non desidero. E tu sei una strega.” “Non conosco incantesimi, non faccio strategie, non somministro pozioni. Io sono ciò che vedi e ciò che senti, te l’ho già detto. Rifletto il tuo desiderio che è il mio, e tutto ciò è potente, oltre te e me.” “Tu sei consapevole” “Può darsi. Io mi lascio andare. A che serve opporsi? A chi giova?” “È il rito della malìa quello che fai, come il canto delle sirene” “Io non canto. Ti guardo, e basta.” “Tu stai cantando e non lo sai…”

Non ho neppure bisogno di sentire la tua voce. Respira dentro di me, col mio respiro, calda, umida, roca. Non distinguo più il caldo che viene dalle finestre aperte da quello che emano io da tutti i pori, da ogni pertugio possibile che Madre Natura mi ha donato. Chi è questa femmina che alberga dentro di me?

“Tu sei terrena, sei vitale, eppure così pura, pulita, vera.” “Ho smesso le vesti convenzionali tanto tempo fa. E ora fatti guardare, non sfuggire lo sguardo. Tu trasmetti, io ricevo, è così che funziona tra noi, no?” “È così che funziona, Innocenza”.

(Racconto tratto da “Innocenza, che m’insegnò la vita” di Cetta De Luca)

Le recensioni belle fanno spuntare il sole anche se piove

Le recensioni fanno bene alla salute e fanno spuntare il sole, come un sorriso del cuore. Da ExLibris, appunti di una lettrice disordinata.

Ultima lettura: “Nata in una casa di donne” di Cetta De Luca

 

Nata in una casa di donne
Autore: De Luca Cetta
Dati: 2013, 104 p., brossura
Editore: L’Erudita (collana L’urgente)
Voi siete nati insieme […] amatevi l’un l’altro,
ma non fatene una prigione d’amore
(Khalil Gibran, Il Profeta)
Tre parti per una storia vera (le origini – l’età di mezzo – gli anni delle luci e delle ombre), ciascuna introdotta da versi di Gibran e Tagore: versi evocativi di affetto e amore, passato e futuro, gli ingredienti principali della vicenda umana di Teresina e Giorgio. La loro è una storia semplice, comune, quella di una famiglia come tante, nata e cresciuta alla fine degli anni Cinquanta, negli anni del benessere economico, negli anni in cui era facile realizzare sogni ed ambizioni. In particolare quelli di Teresina, partita dalla Calabria carica di voglia di riscattare la sua condizione di povera ragazza del sud, quasi incapace di parlare in italiano ma desiderosa di recuperare terreno, come solo i cavalli di razza sanno fare. Intorno a questa figura femminile forte, volitiva, un po’ capricciosa e determinata si snoda la storia della famiglia. Intanto un marito ‘un po’ femmina’ perché circondato da femmine, rassegnato quasi ad essere un comprimario, ma decisamente centro di interesse della figlia Lucia, che vuole a tutti i costi piacergli, desidera che lui sia orgoglioso, che ne approvi scelte e perdoni errori. Poi quattro figlie, diverse e complementari, in una comunità solidale ma anche divisa da caratteri e attitudini diverse, che portano ciascuna il proprio fardello di esperienze anche dolorose, che le faranno crescere in fretta, all’ombra di mamma Teresina, assolutista e protagonista.
La narrazione si snoda attraverso due generazioni (genitori e figlie), che si aprono ad una terza, quella dei nipoti e del futuro (Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti, Khalil Gibran), di decennio in decennio, tra trasferimenti, amicizie, amori, ribellioni: ogni decennio è introdotto da un breve sommario che riassume i fatti e i personaggi che hanno caratterizzato il periodo e che fanno da sfondo storico alle vicende di questa casa di donne. Alla fine del romanzo, quasi ad attenderci alla chiusura del cerchio, troviamo Giorgio, il babbo quasi invisibile e distratto, schiacciato dalla personalità prorompente della moglie Teresina e dalle sue quattro piccole donne. E la figura di Giorgio si riscatta, questo libro è per lui, che, se non ci fosse stato, nessuno e niente ci sarebbe stato, nemmeno quella moglie tanto bella e tanto prepotente (Nella mia vita/ ho amato, cuore e anima,/luci ed ombre della terra, Rabindanath Tagore) .
La scrittura di Cetta De Luca è semplice, piana ma anche evocativa di sentimenti complessi, pensieri difficili, articolati. Non solo narrazione, ma anche scavo interiore, trasudante emotività, di chi quegli anni li ha visti, avendone vissuto speranze e delusioni e ancora aspettative. Un libro scritto con amore e per amore, con la certezza che anche gli errori paghino, non si pagano e basta.

Nuvola madre, nuvola figlia

 

Immagine presa da qui

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Picchiava dannatamente in fretta su quei tasti, con le sue minuscole dita. < Corri Mariè, sbrigati, che fuori piove!> E Marietta volava, e le parole prendevano forma sulle pagine virtuali dello schermo. Aveva dodici anni di vita in corpo e cento nel cuore, per tutte le storie racchiuse che volevano uscire.

L’Internet point chiudeva immancabilmente con lei. Ogni sera. E lei salvava i file in una cartella protetta, salutava il pc con un bacio e andava via, a raccogliere altre parole da trascrivere la sera dopo. Si trascinava fino alla stazione, scendeva nel sottopassaggio, e si raggomitolava nel suo giacchino di jeans, la testa tra le gambe, per dormire. Nessuno lo sapeva che andava lì, nessuno conosceva la sua di storia. Ma poi che importanza aveva? Quelle che raccontava erano immensamente più belle, straordinarie, erano storie felici.

<Ma tua madre Mariè non ti dice niente? Stai sempre qui di pomeriggio. E i compiti non li fai?> La proprietaria dell’Internet point era una mamma, e si preoccupava di quella bimba così gentile e taciturna. “Mia madre. Mia madre non so più dov’è da molto tempo. L’ho cercata tanto. Chissà, magari un giorno leggerà le mie storie e verrà lei a cercare me.” pensava Marietta. Era brava col pc la bambina. Aveva imparato a usarlo all’istituto da cui era fuggita mesi prima, quando aveva avuto fame d’amore, quando aveva avuto voglia di un abbraccio vero. Ma la strada è crudele. Si cresce in fretta per strada. E Marietta aveva indossato una corazza, per difendersi. Solo nella rete liberava il cuore.

Pioveva davvero tanto quella sera. Non c’era modo di scaldarsi, neppure se si faceva piccola piccola dentro di sé, neppure se si stringeva le gambe fino a farsi male. Il freddo pungente e bagnato penetrava la stoffa, graffiava la pelle, ammollava le ossa. E poi tutta quell’acqua che scendeva giù, dalle scale del sottopassaggio. Marietta cercò un angolo, più riparato possibile, e ascoltò per minuti che parvero ore il rumore dei suoi denti che battevano al ritmo della pioggia, che era come il ritmo del suo cuore. E si addormentò.

La signora dell’Internet point si stupì di non vedere la bambina quel pomeriggio. Ormai era diventata una presenza abituale. Più e più volte si affacciò dall’ingresso per scrutare i passanti, per vederla arrivare. Nulla. Il ragazzo del bar aveva lasciato accesa la postazione di Marietta e fu istintivo per lei darci un’occhiata. Eccola la cartella della bambina. Ci voleva la password per aprirla e digitò “mariè” più per scrupolo che per reale convinzione. Funzionava. Pagine e pagine di racconti scorrevano davanti ai suoi occhi stupiti e lei leggeva, con il cuore stretto nella morsa colpevole di chi viola un segreto ben riposto. C’erano mondi incantati lì dentro, e c’era una storia d’amore grande. Quello di una figlia che cerca una madre e che l’attira a sé con l’unica sua ricchezza: le parole.

Le vedi lassù le nuvole gemelle?

Gonfie di bianco latteo, come mammelle

Una che nutre l’altra, che si riempie

Amor di vento e pioggia giù che scende.

Ma il vento soffia  e porta via lontano

Nuvola madre che si strappa il seno

Nuvola figlia segue un nuovo volo

E un altro giorno porterà il suo dono.

C’è magia nella poesia di una bimba, magia potente. La signora pianse mentre capiva, mentre apprendeva l’amara verità. Corse fuori a cercare tra la gente, qualcuno, qualcosa che potesse darle tracce di Mariè. Cercò per le strade, nei portoni, dietro muri scrostati e giunse infine alla stazione dei treni. C’era folla laggiù, e un’ambulanza, e polizia, e nonostante tutto un desolato silenzio. Si affacciò sopra spalle e teste per guardare, lo stomaco in gola, il cuore altrove. <L’hanno trovata per caso. Pareva un fagotto di stracci. Ipotermia. Non sanno se ce la farà.> Mariè…Mariè! La donna si fece largo e guardò quel gomitolo di colori slavati che pure parevano brillanti sul biancore della lettiga. Tese la mano per spostare i capelli dal volto, si avvicinò, testa contro testa, e l’abbracciò. < Il vento mi ha portato le tue parole nuvola figlia.> E Marietta, in quell’abbraccio, sorrise.