Io lo sono
“E non guardarmi così, non riesco a sorreggerlo quello sguardo” “Così come?” “Ecco, così, come fai adesso. Mi fissi dritto nelle pupille, mi penetri dentro, con quella luce luminosa, sì proprio così, luce luminosa di suo, non riflessa, ammiccante, maliziosa. Pare che hai appena fatto sesso e te ne compiaci. E io non ce la faccio perché t’immagino e non ti posso avere, e mi si sciolgono le ginocchia e sento caldo nelle dita, delle mani, dei piedi. E ho l’affanno, lo vedi che ho l’affanno? Perché lo fai?” “Io non lo faccio. Io lo sono. Sono questo sguardo, sono questi occhi, sono ciò che vedi e che senti. Sono il pulsare del tuo desiderio che si confonde col mio.”
La luce tagliata dal filtro delle persiane ammorbidisce gli angoli acuti delle pareti nude, come me che sto qui e ti guardo, e non parlo. Ti guardo e basta. E questo è sufficiente a scuotermi in profondità. Forse è il mio turbamento che traspare, e tu lo leggi e lo traduci in parole, e il desiderio sale e rimbalza da me a te, da te a me.
“Lo stai facendo ancora, non distrarmi” “Non faccio nulla che non fai anche tu. Non te ne accorgi?” “Anche se me ne accorgessi devo far finta di niente, recitare la mia parte, non posso palesare…” “Palesare cosa?” “Tutto. Tutto questo sentire che mi fa uscire fuori di senno. Me li sento addosso i tuoi occhi che scrutano, scavano, le tue mani mi toccano, la tua pelle… ma quanta pelle hai?” “Tutta quella che riesci a contemplare.”
L’alba rende tutto più nitido, anche gli odori. Chissà perché col sorgere del sole arriva netto alle narici il profumo dell’aria, della terra, dell’erba. Si riesce a distinguerli, nessuna contaminazione, arrivano a ondate, in successione, come una processione odorosa. Il tuo odore. Non l’ho mai sentito ma lo conosco, lo riconosco. Parte dall’interno della mia bocca e sale su, mi solletica la gola mentre scivola nella testa e la pervade. Lo specchio mi rimanda la mia immagine in questo preciso istante. Sai che hai ragione? Pare che ho appena fatto sesso.
“Oggi non parliamo” “Ma lo stai facendo” “Non giocare con me” “Io non sto giocando. È così strano per te desiderare?” “È l’unica cosa importante, l’unica che conti per me. Desiderare è la molla che mi fa andare avanti, quella che mi spinge ad agire. Non potrei mai fare una cosa che non desidero. E tu sei una strega.” “Non conosco incantesimi, non faccio strategie, non somministro pozioni. Io sono ciò che vedi e ciò che senti, te l’ho già detto. Rifletto il tuo desiderio che è il mio, e tutto ciò è potente, oltre te e me.” “Tu sei consapevole” “Può darsi. Io mi lascio andare. A che serve opporsi? A chi giova?” “È il rito della malìa quello che fai, come il canto delle sirene” “Io non canto. Ti guardo, e basta.” “Tu stai cantando e non lo sai…”
Non ho neppure bisogno di sentire la tua voce. Respira dentro di me, col mio respiro, calda, umida, roca. Non distinguo più il caldo che viene dalle finestre aperte da quello che emano io da tutti i pori, da ogni pertugio possibile che Madre Natura mi ha donato. Chi è questa femmina che alberga dentro di me?
“Tu sei terrena, sei vitale, eppure così pura, pulita, vera.” “Ho smesso le vesti convenzionali tanto tempo fa. E ora fatti guardare, non sfuggire lo sguardo. Tu trasmetti, io ricevo, è così che funziona tra noi, no?” “È così che funziona, Innocenza”.
(Racconto tratto da “Innocenza, che m’insegnò la vita” di Cetta De Luca)