La promozione può essere un incontro

Immagine presa da qui

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Poco più di un anno fa, ci riflettevo giusto oggi, ho preso coscienza che il web serve anche per promuovere uno scrittore. O il suo libro. Che non è la stessa cosa ma quasi. Ho sempre fatto “promozione” o “marketing”, per le aziende con cui ho lavorato, per eventi, manifestazioni, ma non mi era mai capitato di doverlo fare per me stessa.

Questo meccansimo perverso della pubblicità di sè stessi online non mi è mai stato congeniale. Io sono della vecchia scuola, amo il contatto diretto con la gente, guardarsi negli occhi, parlarsi. L’emozione di un incontro è qualcosa di straordinario. Può nascere di tutto dalla sinergia che si crea, anche nuovi spunti per creare qualcosa di diverso, di bello, di duraturo. Sono le relazioni che arricchiscono. Ecco perché, per quanto riguarda la mia realtà di scrittrice, fino a un anno fa l’ho sempre fatta conoscere “face to face” (ma sì, un inglesismo ci sta bene, è più efficace…).

Poi sono entrata nel meccanismo della promozione sui social. Perché è necessario. Ma l’ho fatto informandomi e preparandomi, e per fortuna, perché vi assicuro che si tratta di un vortice che risucchia tutto, energie, tempo, speranze e illusioni. Poi l’incontro con la SelfPublishing School e quasi subito e mi sono rincuorata. C’era qualcun altro che si poneva il mio stesso problema. Una promozione efficace e che lasciasse spazio all’attività principale: la scrittura.

Dopo un anno o poco più però mi sono stancata. Tutto troppo ripetitivo e strategico. Non fa per me. Partendo dagli elementi cardine che la SPS mi ha fornito ho capito che dovevo esplorare i miei desideri per raggiungere gli obbiettivi prefissati. Nuovi metodi, nuove iniziative, nuovi spazi da indagare. Che avessero a che fare con ciò che amo di più: gli incontri. Beh, funziona. Il primo risultato è il booktrailer di cui ho scritto addirittura una guida, e mi sono divertita a fare l’uno e l’altra. Poi, come le ciliegie, un’idea tira l’altra. Ma ve ne parlerò in seguito.

Richiedi la guida qui

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Hai mai sentito di appartenere a qualcuno?

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Jean Delville – L’amore delle anime – Immagine presa da qui

In una sera di marzo una domanda del genere ne alimenta altre. Come un’onda lunga. Nel preciso istante in cui pensi di aver trovato la risposta, quella giusta, quella che mette il punto e a capo, premono alle spalle della tua coscienza le altre, quelle riflesse. Cosa significa appartenere? E il desiderio di libertà? Ma non era un diritto?

Sono molti i modi in cui si può rispondere, o anche tacere. Ma l’urgenza delle domande che si accatastano nella mente non aiuta il silenzio. Nel Sud Italia, quando ci si presenta a qualcuno, l’interlocutore fa sempre la domanda di rito, specie nei paesini :”A chi appartieni?”. E qui l’appartenenza è provenienza, un modo per essere identificati, per essere inseriti in un contesto di famiglia allargata di cui si conservano le caratteristiche, le peculiarità, perché il DNA familiare si trasmette. È rassicurante sapere prima “a chi si appartiene”. Aiuta nella conoscenza successiva, accelera i tempi della socializzazione. E con quanta fierezza si risponde! Anche i nostri emigranti lo facevano. Nei sobborghi cittadini, in altri luoghi del mondo, quando la fatica quotidiana partiva già dall’aprir bocca e dal comprendere un linguaggio nuovo, il senso di “appartenenza” a una stessa comunità ci faceva sentire meno soli.

Ma la domanda era molto più specifica e diretta. Chiedeva di un rapporto “one by one” , una riflessione sul nostro personale sentire, non su un fenomeno sociale e collettivo. E allora ognuno può rispondere solo per sé, non c’è una regola.

Molte donne hanno risposto di sentire un’appartenenza reciproca col proprio amato. Altre di sentire questo sentimento nei confronti dei figli. Altre ancora sentono di non appartenere a nessuno se non a sé stesse. Sto parlando di donne. Nessun uomo si è fatto avanti…

E’ strano il web. Avvicina e allontana in un attimo quando si affrontano certi argomenti. Divide immediatamente i generi: le femmine qui e i maschi di là. Perché, diciamolo, siamo noi donne che tendiamo sempre verso l’altro o ce ne allontaniamo, padre, figlio o amato che sia. Siamo noi che lo facciamo lo sforzo di “muoverci” in una direzione diversa dalla nostra, per incontrare in un abbraccio. Muoverci. E’ una prerogativa femminile, e non c’è colpa nel restare fermi. Io ci ho provato a farlo, a restare ferma. Non è successo nulla, non si è avvicinato nessuno. Perché non posso cambiare le regole della natura e soprattutto non posso andare contro le mie pulsioni. Credo abbia a che fare con l’istinto materno.

Ma qui si parla di “appartenere a qualcuno”, quindi l’argomento è intimo, profondo, viscerale. L’ho provato questo senso di unicità. Più di una volta. E’ normale sentirsi così quando ci si innamora, quando si progetta il futuro in due, quando la vita ci regala giorni, ore, minuti insieme, uno sull’altro, come mattoni di una casa che pian piano ci racchiude al suo interno. E allora senti di appartenere a tutto questo assieme a chi lo condivide con te, e non potresti mai farne a meno, potrebbe mancarti l’aria al solo pensiero. Io l’ho provato tutto questo, e in quel momento mi sentivo forte e invincibile.

Poi succede che finisce, perché succede purtroppo. E allora ti dici che “mai più” vorrai appartenere a qualcuno, che “mai più” ti abbandonerai così, “mai più” ti fiderai in questo modo. Anche questo è normale, come il fatto che prima o poi tutto ricomincia.

Allora forse è il concetto che è sbagliato. Il concetto di appartenenza. Nella coppia lo assimiliamo troppo a quello di possesso e non riusciamo neppure a concepire l’idea che ciò che possediamo possa non essere più nostro. E anche questo concetto è esasperato ed esasperante, perché si “possiede” un oggetto (forse), di certo non una persona.

Lo avevo detto. Una semplice domanda in una sera di marzo ha scatenato uno tsunami di punti interrogativi, e vorrei tanto cancellare tutto, fare un reset, ma la mia voce interiore continua imperterrita.

Hai mai sentito di appartenere a qualcuno?

Sì, ho sentito forte la sensazione di un’unione che andava oltre la carne, oltre l’anima, oltre lo stesso gesto del respirare per vivere. E sono morta dentro quando è finito. E poi ho capito, almeno per quanto mi concerne, che la sensazione più bella, unica, meravigliosa, è quella di sapere che appartengo solo a me stessa e che quando amo posso donare una parte di tutto questo all’altro, un prestito condiviso, per il tempo che sarà.

23 Febbraio 2013 Un libro a teatro: vi presento Nata in una casa di donne

Nata in una casa di donne

Nata in una casa di donne

Sono trascorsi solo tre giorni dalla presentazione di Nata in una casa di donne e ora posso parlarne con un minimo di distanza.

Non posso condividere l’atmosfera. Quell’abbraccio caloroso, la sensazione di stare tutti insieme ad una festa, l’abbiamo vissuta lì, al BlackMarket a Roma, ed è irripetibile. Posso raccontare cosa è accaduto.

Ho proiettato il booktrailer. Senza didascalie, solo immagini e musica che evocassero qualcosa; il passare del tempo, la nostalgia e la corsa inarrestabile verso il futuro, le contraddizioni e il viaggio della vita. Così lo volevo, così l’ho avuto, grazie alla splendida collaborazione e professionalità di un video maker d’eccezione come Fabio Delfino e al dono musicale di Diego Errazuriz, artista cileno da tenere in grande considerazione.

Ora potete vederlo anche voi, il booktrailer, qui.

Poi ho fatto una scelta “difficile”. Ho messo in scena un brano. Non un semplice reading. Attori veri, abbigliati come si doveva, hanno interpretato in una messa in scena teatrale un brano del libro. Quando lo raccontai al regista quello che volevo fare ci sono state proteste. “Non funziona! Non puoi estrapolare un brano dal contesto narrativo. Il pubblico non capisce!”. Poi gli ho inviato il testo e abbiamo fatto le prove. E si è entusiasmato. Perché la scena non aveva bisogno di molti commenti, parlava da sé. E gli attori sono stati bravi. Giovani allievi di un laboratorio teatrale dello IALS guidati da un attore/regista/scrittore di talento hanno dato vita alla storia, e mi hanno emozionata. Michaela Squiccimarro, Alessio Ingravalle, Francesca Piersante e Marco Reale io vi ringrazio.

Saverio Simonelli, giornalista (TV2000), scrittore, persona sensibile e attenta, ha guidato la serata in porto navigando in placide acque. Mi ha fatta sentire a mio agio e questo nonostante non avessimo preparato nulla, nessuna domanda, nessuna risposta. Aveva solo letto il romanzo, e ne abbiamo chiacchierato insieme, come si fa tra amici…

La mia casa editrice…L’Erudita è una scoperta meravigliosa, giovane e frizzante come le sue tre anime: Valentina Beronio, Valentina Capogna, Samantha Giribone. Loro si prendono cura dell’autore, e questo è importante perché il viaggio di un libro spesso è un’avventura, ed è bello non viverla da soli. E lo fanno coadiuvate da Giulio Perrone Editore, che nel mondo editoriale è garanzia di professionalità e competenza. Un team davvero speciale.

Ho raccontato questo per chi non c’era. Lo so, non era facile, il maltempo, le elezioni…ma ci rifaremo. Per chi c’era posso solo dire GRAZIE. Un debutto ha bisogno di un pubblico, e voi siete stato il migliore che potessi desiderare.

Ora Nata in una casa di donne va in giro per l’Italia. Ci saranno altre presentazioni, le prime in Emilia Romagna (Rimini, Bologna) e poi Milano e poi…chissà. Intanto potete incontrare la storia in libreria, tra gli scaffali, in buona compagnia. E se non la trovate potete ordinarla. L’Erudita sarà lieta di farvela avere.

Le librerie potete trovarle qui

Buona lettura!