Cetteide Revolution #cp9 Summer is coming

Certe rivoluzioni a un certo punto devono raggiungere un obiettivo, altrimenti sono inutili. Io e mia madre non volevamo certo sconvolgere la società civile o abbattere una monarchia: la nostra rivoluzione, molto personale, voleva solo essere un esempio di lotta contro un nemico complicato e subdolo. E abbiamo lottato, a modo nostro, e stiamo continuando a farlo. Ci sono momenti però in cui bisogna tirare il fiato, raggruppare le truppe e agire d’astuzia, e in questi casi un po’ di silenzio ci sta bene. Strategia signori, strategia!

Sarà un’estate calda, sotto tutti i punti di vista. Un’estate di cure intense e di distanza, io e lei, figlia e madre, a mettere i nostri cerotti là dove serve e a godere quei momenti di calma tra una tempesta e l’altra, ognuna per proprio conto perché è così che deve essere. Mamma si immerge nella sua fede, – quanto le invidio questo lasciarsi andare! – e prega per sé e per me.
– Sant’Antonio vedrai che ti aiuterà, mi ha sempre ascoltata.
– Perché proprio Sant’Antonio ma’? Tra tutti i Santi non è che sia il mio preferito, così pelatino, insomma… vuoi mettere San Francesco? – Non sono blasfema, è solo che da piccola avevo i miei preferiti.
– Ma cosa vai dicendo? Lui fa i miracoli, lui è potente! – E io non oso contraddirla, ci mancherebbe.

– Mamma, come stai oggi? – La chiamo alle otto del mattino, convinta di fare la cosa giusta.
– Beh, stanotte sono stata bene, niente febbre. Ora però ti devo salutare che devo prendere le pasticche e mi devo concentrare.
Ne prende tre al mattino e quattro la sera, e sono assolutamente convinta che per ogni pillola c’è la giusta preghiera.

– Mamma, devo ricominciare la chemio, quattro cicli. Mi sa tanto che quest’estate non vado da nessuna parte. E poi perderò i capelli.
– E vabè, tanto quelli ricrescono, no? Neanche io vado da nessuna parte, vorrà dire che ci faremo compagnia qui.
– E come ma’? Io stanca morta da una parte e tu dall’altra? Sai che sostegno reciproco!
– Hai ragione, stiamo a casa nostra, che è meglio non parlare sempre delle stesse cose.

Già, meglio non parlare sempre della malattia, che quello è un vortice dal quale poi è difficile uscire. E poi chi ci sta intorno si stanca, si deprime, ed è giusto così, non si può scaricare un simile peso, si deve portare da soli finché il bagaglio non si svuota e diventa leggerissimo. Questo è il vero obiettivo della lotta, della rivoluzione. E per svuotare il bagaglio pesante bisogna chiedere alla vita cose belle e riempirsi di meraviglia quando accadono. Come la notizia che ho vinto il concorso.

– Mamma, ce l’ho fatta! Ora sono insegnante di ruolo! – Penso a mio padre mentre lo dico, lui così legato all’idea del “posto fisso” quanto sarebbe felice, orgoglioso.
– Lo vedi? Questo è Sant’Antonio! – E giù a pregare con maggior lena. Voglio pensare che sia anche un po’ merito mio e del mio impegno nonostante tutto cavolo, voglio pensare che in questo anno pazzesco la vita mi abbia fatto brutti scherzi ma abbia deciso anche di restituirmi qualcosa, la serenità, un sollievo per il futuro. Però grazie Sant’Antonio, sono certa che il tuo contributo sia stato indispensabile (mai inimicarsi gli alleati di mamma).

E adesso chiudiamo questa seconda stagione di Cetteide con una bellissima immagine. La telecamera si muove in soggettiva e si ferma su questa donna meravigliosa che ha compiuto ottant’anni. L’abbiamo celebrata in tanti, più di venti a sfidare il caldo torrido di un sabato di giugno; le sue sorelle, le sue amiche, le figlie, i nipoti, quattro generazioni si sono riunite per festeggiare Mariù. La camera si avvicina al volto felice di mia madre e si ferma lì per un primo piano che è una sinfonia di colori e di luce; Eleonora, l’ultima piccola donna arrivata in famiglia, batte le manine all’arrivo di una torta maestosa e Mariù ride, oh se ride.

Nota finale: siamo riusciti a non farle cucinare niente. Lei però ha diretto i lavori.
Ciao ma’, ne riparliamo a fine estate.

E adesso musica. Per te mamma, per noi.

Cetteide Revolution #cp8 Undercover

President George W Bush visits CIA Headquarters, March 20, 2001.

“Non ci voleva ‘sta cazzata.”
“Eh no ma’, non ci voleva proprio.”
Il trend è questo negli ultimi giorni, poche parole che racchiudono tutti i significati possibili, dialoghi fatti per lo più al telefono, perché lei è ricoverata a causa di un’infezione e di altri problemi legati al suo male e io sto facendo i controlli legati al mio.

“Vengo a trovarti, ma’?”
“No, tu non venire che hai le tue cose a cui pensare.” E io non ribatto, non la contraddico, perché tanto abbiamo ragione entrambe, ci serve forza, energia, dobbiamo essere egoiste.

Per la festa della mamma ci siamo ritrovati tutti insieme nel consueto pranzo domenicale. Beh, per un po’ questa consuetudine è stata messa da parte, ma la festa della mamma, con tante mamme/sorelle/figlie tutte riunite, non si poteva certo evitare. Il sabato sono passata a trovare la genitrice.
“Ho fatto l’impasto per le pappardelle.”
“Come hai fatto l’impasto per le pappardelle? Non potevi startene tranquilla?”
“Ma ne avevo voglia…”
“E certe voglie non te le puoi far passare quando cucini solo per te? Siamo in dieci domani!”
“E va bene, piano piano si fa tutto. Adesso sto grigliando le melanzane…”
“Lo vedo! E perché stai grigliando le melanzane?”
“Così faccio la parmigiana per i vegetariani. Poi ho due salsiccette e ci faccio il sugo per la pasta.”
“Si può sapere perché stai facendo tutto tu?”
Ora, io lo so bene che le altre sue figlie si sono offerte di fare questo o quello, come so che lei di certo ha fatto spallucce e ha dato il via ai lavori, senza aspettare. Come quando eravamo piccole e ci assegnava dei compiti: o li eseguivamo secondo i suoi tempi o erano punizioni. Ora non ci può punire.
“Perché non me la tiri tu la sfoglia? Dici sempre che ti piace tanto!”
“Sì, ma ora sono l’unica tua figlia che non si regge in piedi, ti pare normale chiedere a me?”
Però per lei ha quasi più senso, perché io sto come lei quindi la capisco, ma so anche risponderle a tono.

Siamo in un momento di lotta silente, di strategia, di lavoro di intelligence. Il male palese, quello grande e che faceva paura, l’abbiamo affrontato entrambe usando l’artiglieria pesante: in guerra si va bene equipaggiati. Ora bisogna fare il lavoro “di fino”, come con l’antiterrorismo dobbiamo tenere sotto osservazione le cellule pericolose e intervenire tempestivamente quando e se sarà necessario. Per fare questo useremo degli infiltrati e speriamo che l’azione sotto copertura non salti.

Mamma sta preparando tutto il suo personalissimo repertorio di astuzie e strategie. Io aspetto e improvviso.

E adesso grande musica con la grande Annie Lennox:

 

Cetteide Revolution #cp7 The Wait

“Le preghiere servono sempre, anche se sei diagnostica.” E come contraddire la genitrice che è così convinta della sua fede tanto da trasformarla in diagnosi? In fondo per i credenti un agnostico è un malato, giusto?
Avrei voluto averla accanto quando, dopo il mio intervento, è arrivata una volontaria, una di quelle “signore bene” della Roma papalina (quelle che abitano dalle parti di San Pietro, per intenderci). Lo sapevate che le volontarie indossano il camice bianco come i medici? E io, spossata dai farmaci e dai dolori, senza occhiali per poter leggere il cartellino, l’ho scambiata per un dottore che faceva il giro e sono stata ad ascoltare in religioso silenzio. Dopo cinque minuti ho pensato “Sarà una psicologa”, perché ci sono negli ospedali e seguono i malati oncologici per dare sostegno. Le sue domande su cosa mi era successo, su come mi sentissi, parevano voler raggiungere un solo obiettivo: farmi sfogare. A un certo punto ha cominciato a raccontarmi della sua esperienza col cancro. “Caspita!” mi sono detta “Ultimamente tutte le dottoresse che incontro sono reduci, come me.” Quindi comprensive, quindi in grado di capire, quindi empatiche… come no!
“Sa, anche io sono stata operata cinque anni fa.”
“All’utero?”
“No, al seno. Poi ho fatto anche la chemio.”
“Io l’ho fatta prima e spero di aver finito così, sinceramente…”
“Eh, si vedrà giusto? Anche se io due anni fa ho dovuto farla di nuovo.”
“E come mai?”
“Metastasi al fegato.”
Io vorrei sapere se fanno una selezione specifica per queste persone o se davvero esistono ancora quelle categorie di nobildonne che non hanno un cazzo da fare tutto il giorno e decidono di venire a romperlo a me. Mamma, ora che ti hanno tolto tutto devi farmi lo sfascino al più presto che qui gira brutta gente. Poi me lo insegni anche, che finalmente posso imparare. Va bene, aspettiamo l’istologico…

Questo è l’aspetto più stressante della malattia e della cura: l’attesa paziente, e io paziente non lo sono affatto.

“Come stai Cetta?” Mamma mi chiama ogni mattina…
“Come ieri, ma’, non è cambiato poi molto in 24 ore.”
“Devi avere pazienza, la convalescenza è fatta per riposarsi…”
“E io vorrei riposarmi, se non fosse per questi dolori. Stavo meglio quando stavo peggio.” Ultimamente eccedo in luoghi comuni per dispetto. Ma come glielo spiego che non riesco a stare sdraiata, a camminare, a stare seduta, come le spiego che mi sento mutilata dalla vita in giù, che le gambe non rispondono al mio appello alla mobilità se non con estrema fatica, che vorrei uscire, guidare l’auto, riprendere a lavorare, ma non posso?
“Fai altro, quello che ti riesce di fare!” E ha ragione anche lei.

Mi viene in mente Florentino Ariza, innamorato perso di Fermina Daza sin dall’adolescenza, che l’aspetterà tutta la vita ma, nel frattempo, si dedicherà a tutte le donne che la sorte gli porterà in dono.

Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo, convivere le malinconie e le inquietudini, arrivare a riconoscersi nello sguardo dell’altro, sentire che non ne puoi più fare a meno… e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare cinquantatré anni sette mesi e undici giorni notti comprese? [Florentino Ariza da L’amore ai tempi del Colera – Gabriel Garcia Marquez]

E adesso prendiamoci il nostro tempo per ascoltare…