Leggi poesia? No, grazie, la scrivo.

Immagine presa da qui

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Mi capita ultimamente di ascoltare discorsi surreali. “Io non leggo poesia, scrivo soltanto le mie”“Non vi chiedo di valutare i miei testi, ma solo di pubblicarli, quale che sia il costo.”
E potrei fermarmi qui, ma non c’è mai limite al peggio, quindi mi aspetto altro prossimamente.
Queste due perle di saggezza danno però la misura del livello al quale si trova la “cultura” oggi in Italia. Basso, profondamente basso. E qui non mi riferisco all’essere intellettuali o edotti, qui parlo della semplice curiosità che dovrebbe stimolarci a evolvere, a esplorare, a confrontarci. Due prodotti della società odierna sono evidentissimi in quelle due frasi (non lette sul web, ma udite dalle mie povere orecchie… ndr): l’autoreferenzialità e l’esibizionismo.
Che non sarebbero dei grandi mali, se presi e elargiti a piccole dosi, “q.b.” come si dice in gergo culinario. Ma ultimamente sono diventati una pandemia, quindi un vero problema.

Un artista, si sa, vive la propria esistenza in un costante equilibrio tra l’essere e l’esistere. È artista in quanto esprime la propria creatività. Esiste come artista in quanto è riconosciuto come tale. Ecco, oggi questo paradigma è manchevole, oggi si tende solo all’esistere. E allora ogni mezzo appare lecito, anche spendere fior di quattrini per veder stampato un libro, quale che sia il contenuto, quale che sia il fine, la comunicazione, il messaggio. Io non voglio dare giudizi, non è mio compito. Né tanto meno voglio analizzare il perché e il percome si sia giunti a una situazione del genere. Sono preoccupata, questo sì, perché penso che le generazioni future avranno questo tipo di modello sociale di riferimento (anzi, già le generazioni presenti) e si perderà la magnificenza del sogno, dell’immaginario, l’umiltà del duro lavoro e dell’apprendimento, la soddisfazione di un riconoscimento dovuto e meritato, non comprato.

Questo è il percorso di un artista, che sia scrittore o pittore o musicista poco importa. Un artista ha dentro di sé una febbre dalla quale non vuol guarire, la esplora e la confronta e si lascia da essa dilaniare per poi rinascere in altra forma, altra misura, altra espressione di sé. Cova la propria arte, ne ha cura, e quando decide di mostrarla, prima lavora di cesello, diventa artigiano, si attrezza con gli strumenti giusti per offrire al pubblico il meglio di sé. Deve essere così, è giusto, si tratta di dignità (verso sé stessi) e di rispetto (verso gli altri).
L’arte quindi non può prescindere dalla cultura. Ed ecco che il cerchio si chiude. Chi decide di star fuori da questi parametri può sempre far altro nella vita, per esempio leggere…

“Cultura è il patrimonio delle cognizioni e delle esperienze acquisite tramite lo studio, ai fini di una specifica preparazione in uno o più campi del sapere.” [cit.]