Sta facendo molto discutere, nei gruppi social, questo mio articolo apparso su #ItalianiOvunque (lo potete leggere qui), che parla della situazione degli emigrati italiani in Baviera e che prende spunto dal mio precedente articolo scritto su questo blog (qui). Si tratta di un post polemico, almeno in certi punti, e tale voleva essere proprio per animare una discussione proficua, ma mi rendo conto di dover fare un po’ di chiarezza.
Frequento la Germania, lavorativamente parlando, da due anni. Sono letteralmente dovuta “scappare” dall’Italia a causa della mancanza di lavoro e vi assicuro che non è stato facile. Ho scelto la Germania perché avevo già qualcuno qui che avrebbe potuto supportarmi. A 56 anni, donna e da sola non è che si molla tutto così, alla cieca. Io almeno non me la sono sentita. Col senno di poi e le esperienze vissute in questi ventiquattro mesi, so per certo che ora non mi spaventerebbe neppure andarmene in Sudamerica… Detto questo, ciò che mi ha colpita in questa terra così “nordica” (io sono una passionale donna nata al sud e vissuta sempre a Roma), è stato proprio l’atteggiamento dei connazionali trasferiti ormai da tempo. Una tale arroganza, una supponenza, un’aggressività che di certo non mi aspettavo. Non tutti sono così, e questo sia chiaro. Per fortuna ci sono quelli che ancora ricordano come è stato per loro arrivare qui, senza soldi, senza appigli e con la disperazione nel cuore.
Questa aggressività, seppur espressa in modo più velato, la ritrovo in alcuni commenti al mio articolo sui gruppi social. Credo, dopo attenta analisi, di sapere di cosa si tratti: rabbia. La stessa che provo io, in fondo. Una rabbia alimentata dalla nostalgia. Perché nessun italiano, che io sappia, odia realmente la sua terra natale. Ogni riferimento al cibo (ricordiamo che sono legate agli odori e ai sapori le nostre pulsioni affettive), al mare, ai colori, ai profumi, alle amicizie, provoca una sensazione quasi dolorosa, il ricordo di quello strappo che si è dovuto fare e che ci ha allontanati da quella che era la nostra casa, le nostre radici. Il sentimento immediatamente successivo è la rabbia, per ciò che si è perso, per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, per le opportunità che non ci sono state date. Perché tutto ciò che riusciamo a trovare in terra straniera lo vorremmo a casa nostra, e sappiamo che non è impossibile. Quindi ancora più rabbia, che diventa veleno, che diventa rifiuto.
Io sono convinta che si tratti di questo. In più aggiungiamoci la beffa di andare a lavorare per un popolo che, storicamente, abbiamo avversato… Ecco, qui le considerazioni storiche e psicologiche mi farebbero addentrare in una tematica della quale non sono competente, se non per logica. Quindi non lo faccio, sarebbe solo qualunquismo gratuito. Sia ben chiaro: io non ce l’ho con la Germania, né con i tedeschi. Loro sono come sono, con il loro stile di vita un po’ calvinista per cui si vive per lavorare, con la loro allegria semplice e priva di retrospettiva, con la loro accoglienza un po’ grossolana ma senza secondi fini. Loro sono efficienti e organizzati, socialmente parlando sanno ottimizzare tutto, non sanno cosa significhi perdere tempo e non si perdono in chiacchiere. Una macchina perfettamente oleata. Il problema si pone nella gestione degli imprevisti, va bene, ma non si può avere tutto. Forse uno dei motivi per cui amano gli italiani è che noi, negli imprevisti, ci sguazziamo e sappiamo sempre cosa fare, in un modo o nell’altro. Siamo dei creativi.
Oh certo, ci sono anche qui gli svalvolati, gli artisti, i pensatori, i filosofi, certo che ci sono, ma suvvia, non è la norma, è l’eccezione. Noi italiani, quando veniamo qui, la prima cosa che diciamo è: se tutta questa organizzazione (semplicissima, tra l’altro) ce l’avessimo noi, l’Italia sarebbe perfetta. Eh… e se le ciambelle avessero gli angoli, sarebbero quadrate. La realtà è che c’è sempre qualcosa di meglio, qualcosa di perfettibile, ma dovremmo rinunciare a qualcos’altro per riuscire a farlo nel nostro Paese. Quindi tanto vale andare là dove lo sanno già fare, e apprendere, e provare a crescere una nuova generazione che abbia di questo e di quello e che possa veramente cambiare le cose. Noi non ne siamo capaci. Continueremo ad andare in giro per il mondo sognando un’Italia che, vista da lontano nello spazio e nel tempo, appare sempre bellissima. Nostalgia… Ci sono Italiani che vivono in Germania da quarant’anni e che, periodicamente, tornano nel paese natale, sempre con la stessa commozione all’arrivo, sempre con la stessa delusione quando ripartono. Il fatto è che è difficile adeguare la realtà alle aspettative di un sogno. Ci sono figli, nipoti di italiani emigrati una vita fa, nati qui, che hanno visto l’Italia solo in TV (perché la maggior parte degli italiani qui guarda la TV italiana, ovviamente) o su Google Images, che hanno una luce negli occhi quando sentono parlare in italiano, come se gli si accendesse il cuore. Mi è successo di recente, in giro per Passau, di entrare in un negozietto nel quartiere degli artisti. Odorava di cuoio e di essenze orientali, e la tipa che lo dirige avrà avuto poco più di trent’anni, una faccia aperta, un sorriso radioso e l’aspetto un po’ fricchettone. Le ho parlato in inglese, ma con mia sorella che era con me, parlavo italiano. E lei, la tipa di cui non conosco il nome, ci ascoltava rapita. Poi ha cercato di dire qualcosa nella nostra lingua, e ne è uscito fuori un discorso ingarbugliato dal quale si sono dedotte due cose: suo nonno era calabrese (come me) e lei aveva l’Italia nel cuore. Ha detto, – spero di aver tradotto bene, – “Io sono nata qui, e mi piace Passau, la Germania, ma ho un tale amore nel cuore per la mia terra che non conosco!” E alla fine, prima che andassimo via, ci ha volute abbracciare, forte, come amiche, sorelle, che si ritrovano dopo tanto tempo.
Questa è l’altra faccia della medaglia, la faccia innamorata di una ragazza che dell’Italia ha solo ricordi di terza mano, eppure ne ha nostalgia.