C’è Natale e Natale. Ci sono i simboli, le tradizioni, la fede, la famiglia, la bontà da copertina, i rituali scaramantici (Mariù diceva che ci dovevano essere 12 portate a tavola la sera della vigilia), c’è chi a Natale si sottopone a fatiche immani e chi invece assume un atteggiamento minimalista e parco – niente sprechi, basta consumismo – e ognuno ha il suo Natale, e dovrebbe essere Natale tutto l’anno, e via coi luoghi comuni che solo a elencarli scriverei fino al prossimo anno.
Il mio atteggiamento nei confronti del Natale è sempre stato un mix di tutto questo con la tendenza, col passare degli anni, a togliere, a cercare la sobrietà pur mantenendo le tradizioni. Amo le tradizioni, c’è poco da fare, la meridionale che è in me non riesce a rinunciare ai tardiddi e ai crustoli, al pesce e alle vongole, a tutto quello che mia madre mi ha lasciato come ricordo e che cerco di tramandare a mia volta ai miei figli. Anche questo è “famiglia”.
Quest’anno qualcosa è cambiato per me, quest’anno ho affrontato l’idea di morte lucidamente, come mai nessuno dovrebbe fare, e il mio Natale è un’autentica rinascita, è vita che scorre nelle vene, è forse il significato più autentico che il Natale possa avere. Un dono prezioso che segue a un periodo difficilissimo, oscuro, e forse per questo lo apprezzo di più.
Pirandello fece dire all’Uomo dal fiore in bocca “Perché, caro signore, non sappiamo da che cosa sia fatto, ma c’è, c’è, ce lo sentiamo tutti qua, come un’angoscia nella gola, il gusto della vita, che non si soddisfa mai, che non si può mai soddisfare, perché la vita, nell’atto stesso che la viviamo, è cosi sempre ingorda di se stessa, che non si lascia assaporare. Il sapore è nel passato, che ci rimane vivo dentro. Il gusto della vita ci viene di là, dai ricordi che ci tengono legati.”
Quindi ben vengano i ricordi, il passato che rimane vivo dentro, Mariù e il profumo della sua cucina, i miei figli affaccendati intorno a me, ben venga il gusto della vita in questo Natale in cui rinasco. Auguri a tutti.