Il ricordo del mare

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Quando non so come dire le cose scrivo poesie. L’ho detto tempo fa, e allora fu una catarsi, un modo per comunicare il mio dolore senza essere troppo invadente. Oggi sono stata assalita da tante emozioni, e nella testa ha fatto capolino questa specie di canzone, e c’era anche una musica, un po’ alla De André – dopo i fatti di Genova la sua musica non mi abbandona un istante – ma non ve la posso né voglio cantare. Ognuno se la canti come vuole, se vuole.

Il ricordo fa male

se qualcosa rimane

il ricordo che hai in testa

ha il sapore di festa

il ricordo ti appaga

come amore puttana

che ti prende in quell’ora

e poi rimani tu.

 

E il sapore del mare

è un ricordo lontano

un ricordo bambino

che ritrovi vicino

che ti lecca la pelle

che ti brucia di sale

un ricordo che appare

e poi rimani tu.

Perché ogni Natale è Natale, è Natale, è Natale…

In questi giorni di festa ci soffermiamo un po’ di più sulla parte umana di noi, quella che ci fa cercare gli affetti, quella che rifugge la solitudine, quella che ci fa accogliere e accorciare le distanze. Forse accade perché abbiamo più tempo a disposizione, forse accade perché siamo animali sociali che tendono a riunirsi, a stare insieme, a fare gruppo, che se ci si stringe forte si sente meno freddo.

Io non lo so cos è, non ho mai avuto una particolare passione per le festività natalizie, però non mi sono mai sottratta al richiamo della famiglia e, puntualmente ogni anno, mi trovo a riflettere su quesiti filosofici che, ancora oggi, non trovano risposta (se sono ancora qui a parlarne…)

Cosa resta di noi? Diciamo che questo primo Natale senza Mariù è stato un banco di prova notevole. Cosa c’era di lei? Praticamente tutto, dalle figlie ai nipoti, dal cibo all’abbondanza. Forse è mancato il burraco, non lo so, ho abbandonato prima.

C’era quel posto vuoto, quella eco di voce, quell’immagine viva negli occhi, quindi è questo che resta di noi, la sensazione fisica di esserci sempre come parte di qualcosa che, se siamo bravi, si tramanderà nel tempo in coloro che verranno, una storia che si sommerà alle altre storie future. Lasciamo tracce anche quando non ne siamo consapevoli, forse soprattutto in quei momenti, come un bel libro scritto con sincerità. E lì ci riconosciamo.

Leggera passerò nella tua vita,
e lascerò una scia
più spessa di un filo di fumo,
più sottile del solco che lascia l’aratro
quando penetra l’anima della terra
facendola sua.
Io sono
nuvola di emozioni instabili
e mi muovo nel vento.
Una traccia rimane
che sa di aria e di sole
di radici dissodate
di zolle pregne e grasse d’umore.
È l’essenza di me
che permane,
se solo l’avrai colta
mentre leggera
passava nella tua vita. [cdl 2017]

And now… music! E Buone Feste a tutti.

 

Franco Arminio e i suoi “paesi invisibili”. Per il Festival delle Letterature di Roma un nuovo incontro con la poesia.

Sono andata al Giardino degli Aranci della Casa delle Letterature di Roma. Non so se si chiama così (la signorina all’ingresso mi ha detto: “Arminio? L’incontro è in giardino”), però c’erano solo alberi d’arancio in quel giardino interno, con una fontana al centro mimetizzata da un basso arbusto, e tutto era così verde e calmo che, mi son detta, nessun posto è migliore per parlare di poesia.

Che poi parlare di poesia con Franco Arminio – l’evento riguardava lui ovviamente – è un eufemismo. Con lui non si parla, con lui si assiste a uno spettacolo, si dialoga, si canta. Lui è logorroico quanto basta per farti chiedere se sia sufficiente la poesia affinché si racconti. Che poi sono poesie spesso brevissime, più che ermetiche, e per questo mi piacciono: istantanee della realtà di quei paesi nascosti, perduti, abbandonati che lui tanto ama. E allora lasciamolo parlare questo “paesologo” come ama definirsi, che ha pure una splendida voce e ti cattura con le sue movenze da attore consumato. Bello spettacolo, bravo, bis!

Vi racconto l’incontro su Art a Part of Cult(ure), come sempre.

Un reading speciale col paesologo Franco Arminio.

Sono andata a incontrare un poeta. Ma non un poeta qualunque: un paesologo. Troppo complicato, va bene.
Sono andata a incontrare Franco Arminio. Meglio? L’occasione l’ha offerta Letterature Festival di Roma e il giardino degli aranci della Casa delle Letterature non poteva essere più consono a questo evento. Lo confesso, la prima volta che l’ho visto e ascoltato a Libri Come mi ha conquistata. E non è certo facile conquistare con le poesie! Quel cliché romantico degli uomini che declamano versi e stendono letteralmente le donzelle sognanti ecco, è solo un cliché. La verità è che la poesia non è propriamente una lettura nazional popolare, a meno che il poeta non abbia il carisma e il fascino di Franco Arminio. Che parla come scrive (o scrive come parla) ed è tutta una serie di emozioni circolari, coinvolgenti, spesso esilaranti. [continua a leggere…]