“Anvedi però!” Il vecchietto ottantenne si ferma stralunato davanti agli schermi che proiettano senza sosta la pubblicità della linea primavera-estate di una nota catena di abbigliamento. Ragazze bellissime e poco vestite ammiccano da spiagge assolate e sembrano venirti incontro. Il vecchietto è rapito davanti a cotanta strafottente bellezza, pare sia lì solo per lui. L’uscita della metro di Piazza di Spagna è un budello in penombra che nulla lascia immaginare di quanto si vedrà una volta fuori. Forse quella pubblicità non è lì per caso, forse vuole prepararti. Perché Piazza di Spagna è magnifica, e godersela per una volta da turista è un privilegio, per una romana.
Poi ti infili in via Margutta, silenziosa, odorosa di romanità. Cerchi le gallerie d’arte (poche ormai, a dire il vero) e trovi il lusso più discreto ma non per questo meno opulento. Dov’è finita la Roma degli artisti? Davanti all’hotel De Russie un maggiordomo in livrea apre lo sportello di un’auto di lusso (ci sono 34 gradi all’ombra, è un eroe…). Un lui e una lei appena usciti dalle pagine di Vogue scendono e subito sono risucchiati dall’ombra rassicurante del prestigioso albergo. Poverini, che vita grama doversi sempre nascondere. Che vita insulsa non potersi permettere di passeggiare senza meta in questa luce accecante, col cielo azzurro chiaro che pare voglia venirti addosso per quanto è tanto, col sudore che ti imperla la fronte per la lunga salita fino a Villa Borghese, ma tanto che ti frega se non sei a posto, mica devi apparire in copertina su una rivista di gossip!
In cima alla salita mi attende la terrazza del Belvedere su Piazza del Popolo. Qualcuno sta suonando. Un ragazzo, pare siciliano dall’accento, canta Bennato graffiando sulle corde della sua chitarra e soffiando sull’armonica. Ma come fa? Me lo sono sempre chiesto. Già non è facile coordinarsi cantando e suonando uno strumento. Due… la crisi ingegna gli artisti di strada.
Il furgoncino dei rinfreschi è invitante. Una bottiglia d’acqua piccola e un gelato da due palline: 5 euro, senza scontrino. E magari il proprietario, indiano o pakistano poco importa, non ha neanche l’autorizzazione a stare quassù, proprio alla fine della salita per Villa Borghese, il luogo di Roma in cui l’indice di richiesta di rinfreschi è pari al 100%. C’è il tizio che noleggia quegli aggeggi infernali, tipo monopattini elettrici a due ruote, a idioti, turisti e non, che girano, girano senza sosta intorno alle bancarelle di libri usati, urlando come ossessi per paura di cadere. Anche il tizio è indiano o pakistano, e anche lui non rilascia lo scontrino. E il ragazzo siciliano continua a suonare la sua chitarra/armonica. E io mi domando perché lui non si prende un ombrellone e non si mette a vendere granite, senza scontrino e senza permesso, che magari in giornate come queste incassa tanto da pagarsi le tasse universitarie.
Potrebbe sembrare un discorso di intolleranza, ma non lo è. Ci sono le auto della polizia due curve più sotto, ma nessuno fa niente per bloccare queste illegalità. E queste illegalità agli indiani, pakistani, cingalesi, cinesi, marocchini eccetera eccetera gliele abbiamo insegnate noi, con lunga pratica ed esempio.
Il ragazzo indiano con le rose (stavolta ne sono certa, perché a Roma il raket delle rose recise è solo loro) mi vende, mi offre, cerca di impormi una rosa. Altrimenti un braccialetto della fortuna. Lo fulmino col mio sguardo verdefogliaprimaverile e con un grugnito. Se ne va con un epiteto in hindi. Il secondo ragazzo indiano, sempre con la rosa da comprare o in regalo, sopraggiunge dopo un nanosecondo. Eppure deve aver visto la mia reazione precedente! Stavolta neanche lo guardo, grugnisco e basta. Arriva subito dopo il terzo. Non grugnisco neppure. Per una qualche punizione divina il gelato da 3 euro mi sta gocciolando impietosamente sui jeans e sono costretta ad utilizzare parte dell’acqua da 2 euro per pulirmi. Ma che volete da me? Volevo fare la turista per un giorno nella mia città, e lasciatemi in pace!
Poi improvviso arriva. Un refolo di vento fresco, che profuma di fiori e di sole, quel profumo che non ho trovato in nessun’altra parte del mondo e che sa di buono, nonostante tutto. Qui, su questa panchina nel cuore di Roma, seduta come sulla poltrona di casa, comoda, a mio agio, guardo le macchie di cioccolato che mi impataccano i jeans e penso: ma che me frega…