Donna nella crisi. Manuale di sopravvivenza.

Immagine presa da qui

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Ti accorgi che qualcosa sta cambiando quando cominci a vivere di sottrazioni. Di punto in bianco, senza neppure avere il tempo di abituarti all’idea, devi imparare a rinunciare. Prima avevi un bel lavoro, gratificante, ti sentivi libera di non chiederti quanto avevi nel portafogli. Dopo, un dopo la cui immediatezza farebbe tremare i polsi a un supereroe, ti sorprendi a contare i centesimi nascosti nello scomparto con la zip, a cercare quelli caduti in qualche borsa in disuso, a festeggiare quando li trovi, come se avessi scoperto un tesoro. Ma ancora sei sull’orlo del precipizio, ancora non credi che ci finirai dentro e dovrai imparare a volare, per non schiantarti.

Il primo vero indizio è quando ti metti a dieta. Si comincia sempre sottraendo il grasso in eccesso, quel segno inequivocabile di passata abbondanza. E si mente. In primo luogo a sé stesse. Ci si racconta la favola del “magro è bello” e si continua ad andare in giro, tutte fiere del girovita filiforme e della cellulite che proprio non c’è più. Perché nessuno deve sapere che sei entrata mani e piedi nella crisi, che il lavoro lo cerchi ma sei troppo brava, troppo esperta, troppo vecchia per trovarlo. E ti devi accontentare, ti devi arrangiare, che sei pure fortunata ad avere una casa, un rifugio, un luogo in cui rinchiuderti e urlare in solitudine tutta la tua frustrazione. Ai vizi non rinunci, ad alcuni almeno. L’acqua minerale e le sigarette, quelle fai da te, che costano poco. Perché quando i morsi della fame ti prendono, la sera, l’acqua frizzante e il fumo anestetizzano lo stomaco, e tutto sembra più normale. Impari a far durare le cose, quando devi farne a meno. Gli abiti, le scarpe, sono un bene prezioso. Svuoti gli armadi che hai riempito negli anni del benessere e ricicli la vita.       

Poi scopri che puoi anche fregartene delle regole. Quella è la sottrazione più interessante, oserei dire divertente. Ti senti di colpo immune da sanzioni e gabelli, perché tanto, se non hai niente, cosa possono toglierti?          
Ritrovi il gusto di camminare, anche lentamente, e sentire i muscoli che riprendono vigore. Il tempo è l’unica ricchezza che hai, il tempo e te stessa.       
Quando giungi a questo stadio il cambiamento è ormai irreversibile. Ti rendi conto che sei realmente in grado di vivere con nulla e ti senti potente, energica, bellissima. Hai rinunciato a tutto e sei sopravvissuta. Hai scoperto di avere ali buone per volare e che ora puoi solo risalire, senza seguire la corrente, ma diventando tu stessa vento. Si impara molto di sé quando si affronta una crisi così importante. Nudi, di una nudità indifesa, ci si riappropria di un’essenza nascosta e dormiente, la risorsa primordiale che guida il nostro istinto di sopravvivenza: la volontà.

#Femminicidio e affini: Umanità alla deriva

Il piccolo Principe Immagine presa da qui

Il piccolo Principe
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Ma che fine ha fatto l’umanità? E non parlo semplicemente degli esseri umani in quanto specie. Parlo di quel sentimento che dovrebbe, e qui il condizionale è d’obbligo, differenziarci dalle altre specie esistenti sul pianeta Terra. Forse è emigrata anch’essa. È emigrata dalle coscienze, e questo è il dramma, perché ancora non ha trovato patria.                                                                     

Si sta svolgendo sotto i nostri occhi una guerra che è ben più distruttiva di qualunque guerra mondiale o universale noi possiamo immaginare. Una guerra in cui il nemico è nostra moglie, nostro figlio, il nostro legame più stretto. Il nemico è l’affetto più caro, perché richiede attenzione e cura, e non siamo più disposti a darne. La crisi che stiamo vivendo non è semplicemente economica. È una crisi esistenziale in cui i valori sono scomparsi e non sappiamo più dove andarli a cercare. Un abbrutimento dei sentimenti perché l’unico concetto che si è in grado di sentire, percepire, capire è “sopravvivenza“. Mors tua vita mea. Se questo un tempo valeva quando a scontrarsi erano due nemici, avversari, sconosciuti che si contendevano l’egemonia su un qualcosa di definito; se questo un tempo era il motto che giustificava l’ingiustificabile eccidio di vite innocenti per un più “alto” senso di appartenenza; se la morte di un altro rappresentava la vita per chi percepiva forte il senso di un pericolo reale, oggi non è più così.

Oggi la vita è vista come un ostacolo, per cui tu donna, tu ragazzo, sei un di più che devo eliminare se voglio raggiungere il mio obbiettivo: sopravvivere.                                                                 
E allora il marito uccide la moglie, il genitore uccide il figlio, perché sono “uno di meno”. La società è un malato grave, un malato psichiatrico, che si sta autodistruggendo sulla base del concetto che “meno è meglio”. E i nostri governanti, che si arrabattano su tasse da togliere o da mettere, posti di lavoro da inventare e sussidi da erogare, ancora non hanno capito che qui bisogna andare a cercare di nuovo l’umanità, che quella si è perduta, e senza non si costruisce nulla, tanto meno la speranza.                          

I femminicidi, spesso catalogati come delitti di passione, altro non sono che il sintomo più evidente di una patologia di massa, una pandemia per la quale nessuno sta cercando la cura. Uomini disperati che sfogano così le loro aberranti frustrazioni, e sono tanti, sempre di più. E io come donna, e madre di una donna, ho paura. E guardo mio figlio e gli insegno ogni giorno l’amore, perché questa è l’unica speranza che ci resta. Noi ce lo ricordiamo bene com’è, ce l’abbiamo nei geni l’imprinting dell’accoglienza, e dobbiamo trasmetterlo, è nostro dovere. Educhiamo gli uomini del futuro a imparare l’amore, perché quella è la patria dell’umanità, non ce n’è altre.