Ma un libro, in fondo, cos’è? #Libro

Immagine presa da qui

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Ma un libro in fondo cos’è? Me lo domandavo prima, da lettrice curiosa, quando provavo a immaginare tutto ciò che c’era dietro al lavoro di scrittura. Me lo domando adesso che a scrivere sono io.
Analizziamo le diverse risposte possibili.

  1. È un’opera dell’ingegno. Così dovrebbe essere almeno, l’espressione fisica e tangibile di un talento.
  2. È un bisogno di emergere. Così è per molti, gli invisibili, quelli che per volontà propria o per carenze di altro genere sono relegati ai margini (della società reale o virtuale?).
  3. È una necessità. Quella di esprimersi in modo diverso a volte. Quella di trovare condivisioni altre. Spesso è la necessità di combattere le proprie solitudini, di esorcizzarle.
  4. È il desiderio di esprimere un concetto, un pensiero. Come se scrivendolo questo possa acquisire forza, autorevolezza. Verba volant, scripta manent.
  5. È un’operazione commerciale. Eh sì, può essere anche questo. Penso a tutti quei libri pubblicati al solo scopo di fare cassetta, che si tratti di autori (?) o case editrici.

Sono solo alcuni degli esempi possibili. Credo che quando avrò terminato questo articolo me ne verranno in mente almeno altrettanti, e lo stesso varrà per chi mi legge.
Il problema è che noi tutti scriviamo, sempre. Abbiamo cominciato quando, ancora infanti e puri, ci hanno raccontato la meraviglia delle parole, che non sono solo da dire. Abbiamo imparato la scrittura assieme alla lettura. Che magia! Ancora lo ricordo quel primo momento della comprensione. Nel tempo poi si perde quello stupore, e scrivere, come leggere, diventa una routine, una capacità acquisita, come mangiare, bere, respirare.
Ecco, credo che lo scrittore, quello vero, conservi intatto lo stupore del bambino. E allora il suo libro è il suo mondo incantato, quello in cui tutto può avvenire, e la scrittura è solo il mezzo con cui tutti gli altri possono decifrarne i simboli e ritrovare, magari, la meraviglia che un giorno lontano li aveva appassionati.
Mettiamola così. Un libro è l’incontro di due mondi, quello dello scrittore e quello del lettore, che in quello spazio neutrale, tra quelle pagine che prima erano bianche, ritrovano la loro dimensione congiunta e fantastica. Un libro è un bambino che sogna.

SONO UNA NARRATRICE COMPULSIVA

Sono una narratrice compulsiva. Nel senso che devo scrivere ogni qualvolta ne sento la necessità, e questa necessita’ e’ ormai diventato un bisogno impellente. Ma ho detto narratrice, il che vuol dire che racconto storie. Mi sono chiesta se il mio scopo fosse solo quello di raccontarle oppure anche quello di dire qualcosa, lasciare un messaggio, tracciare un solco tematico di pensiero ripercorribile anche in senso inverso, magari in un futuro remoto. Eh, che cosa complicata ho scritto. In pratica e’ ciò che hanno fatto i letterati che abbiamo studiato più o meno tutti sui banchi di scuola. Leopardi, Verga, Montale, per citarne alcuni, hanno seguito il loro pensiero, hanno espresso la loro personalissima visione del mondo, della vita, della storia, e per questo noi li ricordiamo, li studiamo. Loro hanno lasciato una traccia perenne di se, e per questo sono stati definiti letterati. O forse all’inizio erano anch’essi narratori? Cosa o chi definisce la differenza? Forse i lettori.
Io, quando mi trovo davanti un foglio bianco, comincio a raccontare. Non so dove mi porterà la storia, ne se ci sara’ una morale, un significato più o meno recondito, un pensiero illuminante. Ascolto i personaggi e li faccio parlare, la trama me la dettano loro, io scelgo il linguaggio. Alla fine, solo alla fine riesco a capire “dove” la storia voleva andare a parare. Finche’ la narro mi lascio solo trasportare. E poiché non e’ come a scuola, quando ti davano un tema e tu lo svolgevi con un inizio, un corpo e un finale, ma il titolo te lo dava qualcuno lì pronto a giudicare, poiché non e’ un articolo di cronaca dove si pesca dalla realtà cercando di darle un senso accettabile per tutti, ma qui si tratta del lavoro di mente e cuore nell’attimo sublime in cui si esprimono all’unisono, liberi da vincoli di sorta, allora la storia che si narra un senso ce l’ha, ed e’ quello personalissimo di chi la scrive. Forse allora anche i narratori fanno letteratura, se a guidare la loro mano e’ un profondo sentire e il linguaggio che si utilizza non e’ altro che lo strumento che li fa individuare, che li rende riconoscibili. Eccola un’altra differenza, quella che il lettore coglie. Lo stile e’ come la “classe”, o ce l’hai o non ce l’hai. Si riconoscono subito i mesterianti. Lo stile e’ unico e prezioso, e’ il biglietto da visita del talento, e non s’impara. E allora saranno i posteri a stabilire quando un narratore diventa un letterato ma, se manca il talento, lo scrittore non esiste. Io, che sono una narratrice compulsiva, continuo a scrivere storie, le affido al vostro giudizio di lettori e umilmente ringrazio e attendo.
Sed