I libri nel web. Ho fatto tradurre il mio libro: e adesso? A caccia di lettori.

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Adesso è ufficiale: The day I died è disponibile nei maggiori stores online e presto ci sarà anche la versione paperback. Ho deciso di dedicare un’intera pagina del mio sito alle pubblicazioni in lingua inglese (qui), per facilitare la ricerca al pubblico anglofono e perché, diciamolo, fa la sua bella figura, no?

Riprendiamo ora il discorso dall’ultima questione posta nell’articolo precedente: come lo faccio circolare questo libro? Lo ammetto, in principio mi sono sentita un po’ come una zattera di notte in mare aperto: nessun appiglio, nessuna luce ad illuminarmi. Poi mi sono detta che, in fondo, i lettori americani, inglesi, australiani, si comportano più o meno come quelli italiani, giusto? Non proprio. Ciò che fanno, come noi, è radunarsi in gruppi social, ma in questi luoghi non fanno altro che postare link all’acquisto di libri: i loro libri. Ecco, non ho trovato su Facebook gruppi di lettori puri, o gruppi in cui gli autori possono incontrare i lettori. Ho trovato solo autori. Poi, magari, qualcuno di voi potrà aiutarmi a trovare qualcosa di meglio (sono graditi i link a commento di questo articolo), ma per ora le mie ricerche mi hanno condotta a questo.

I lettori si incontrano su Goodreads.

Ho scoperto che i lettori anglofoni si trovano su Goodreads. Sono distribuiti in comunità specifiche, addirittura per genere letterario, e organizzano un sacco di cose: forum, letture condivise, giveaway, concorsi. Per fortuna – o per caso – mi ero già iscritta ad alcune di queste community tempo fa. La verità è che, in principio, non sapevo proprio come funzionasse Goodreads, quindi mi sono iscritta a qualunque cosa anche se poi avevo ben poco da dire (un esempio, All about books). Mi limitavo a presentarmi, a dire che avevo scritto dei libri e che, prima o poi, li avrei fatti tradurre in inglese. Spesso la risposta dei gentili utenti era: “Allora torna quando lo avrai fatto…” Io però non mi sono demoralizzata e non ho perso i contatti e ora, finalmente, ho potuto annunciare a tutti la pubblicazione di The day I died. Credo che il prossimo passo sarà quello di organizzare un giveaway (volete sapere cos’è? Ci ho messo un sacco di tempo per scoprirlo, impegnatevi un po’ anche voi, no?), così coinvolgerò i partecipanti e farò in modo che siano “costretti” a parlare del libro. Parlare… questa è la parolina magica, il chiavistello che apre ogni porta.

Ancora per una settimana puoi richiedere qui la tua copia di “Quella volta che sono morta”, la versione in italiano di The day I died. Si tratta di un’iscrizione al mio Circolo Letterario, non chiedo soldi!

Il passaparola. L’unico vero chiavistello social.

Alla fine si riduce tutto a questo, anche per i romanzi tradotti in lingua inglese: il passaparola. Che sia virtuale, indotto, reale, spontaneo, per aumentare la propria audience bisogna che qualcuno suggerisca a qualcun altro di leggere il nostro libro. Abbiamo messo in moto i gruppi social, abbiamo raccontato ai nostri amici in carne ed ossa “quanto sia bello ciò che abbiamo scritto”, adesso possiamo solo aspettare e sperare che nasca questo moto spontaneo. Ma cosa!? Potrebbero trascorrere mesi, anni addirittura, e noi potremmo addirittura aver deciso di non scrivere mai più (rendendo felice non poca gente…). No, signori, il passaparola va indotto, provocato, stimolato. Come i pettegolezzi. Certo, la cosa fondamentale, la più importante, è che il libro sia bello e interessante, altrimenti meglio lasciar perdere, ché il boomerang di ritorno farebbe un male inimmaginabile. Quindi voglio dare per scontato che ciascuno di noi abbia fatto tradurre il meglio della sua produzione e si sia avvalso dei migliori professionisti possibili. Questo è il momento. Cercate tra le vostre amicizie, possibilmente reali, coloro che vivono all’estero. Chi di noi non ha almeno due o tre amici o parenti che si sono trasferiti negli Stati Uniti o in Gran Bretagna? Niente? Siete sfortunati… Potete smettere di leggere questo paragrafo e passare al successivo. Per tutti gli altri che, come me, possono dichiararsi fortunati, vale questo consiglio: non cercate i vostri amici proprio adesso, dopo lungi anni di silenzio, potrebbero risentirsi. Io avevo mantenuto i contatti da tempi non sospetti, quindi ho potuto chiedere loro, in privato, di aiutarmi a far circolare il romanzo tra i loro amici, di generare quindi quel passaparola attivo e reale cui tutti aspiriamo. Ovviamente ho regalato loro una copia, perché solo dopo aver letto il romanzo potranno parlarne in giro. Le loro risposte sono state entusiastiche, e questo significa due cose: ho amici intelligenti e, nonostante sia una scrittrice, continuano a volermi bene.

Altri modi efficaci per far conoscere il nostro libro tradotto.

Eh, questa è un’affermazione forte e, soprattutto adesso che ho appena cominciato, difficile da confutare. Però qualche idea posso darvela. Bisogna organizzarsi, magari per tempo. Vi ho già parlato di twitter e di come funzioni da cassa di risonanza soprattutto per gli editori. Nel mondo scrittorio anglofono non è così, perché gli autori Indie sono molto forti e si sostengono. Con loro però bisogna parlare in inglese (twittare è ancora più complicato), e bisogna essere incisivi. Mi sono studiata i loro tweet, ho cercato gli “influencer” e ho immaginato di presentare il mio libro come se fossi a un colloquio di lavoro: punti di forza, frasi incisive e dirette, niente “melina” (gli appassionati di calcio sanno cosa intendo). La cosa importante è taggare gli interlocutori giusti (@IndieWriteNet per esempio) e utilizzare link, immagini e #hashtag. Nel mondo anglosassone sono pragmatici, non dobbiamo raccontargli le favole… Se ci comportiamo “all’italiana” potremmo confonderli. Un po’ come accade in questo colloquio di lavoro di Woody Allen.

Un altro modo efficace di far conoscere il nostro libro tradotto è di cercare magazine letterari online e ragalarne una copia al redattore che si occupa di libri. Anche qui una buona presentazione è obbligatoria, quindi preparatevi una sorta di modello adattabile e cominciate a inviare, inviare, inviare. Anche LinkedIn può esservi utile! Questo strano e misterioso strumento, ancora allo studio per quanto mi riguarda, è pieno di professionisti del settore e di community che si occupano di editoria. Quindi fatevi avanti, senza paura. Al massimo non risponderà nessuno… Poi ci sono i concorsi letterari, ma questa è un’altra lunga storia alla quale dedicherò uno spazio a parte.

Ora credo che basti, anche perché ho tanto lavoro da fare (tutto ciò che vi racconto lo sperimento in prima persona, mi pare ovvio), e il tempo a disposizione è sempre poco. Promuovere un libro tradotto è faticoso come farlo per un libro in italiano, anzi, di più. Bisogna immaginare di aver scritto un altro romanzo, ex novo, e di partire in esplorazione senza conoscere bene la meta del viaggio. Bellissima avventura, ma quanto stress!

 

I libri nel web. Gruppi o comunità social? La promozione degli autori Indie.

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Dove eravamo rimasti? Ah! Sì, la promozione nei gruppi social. Diciamolo chiaramente, è una gran seccatura. Non sai mai come proporti; spesso non hai voglia di leggere la netiquette (norme di comportamento nei gruppi social); leggi i post degli altri e non trovi parole per commentare alcunché (non ti interessano, insomma); pensi che, anche se commentassi, rischieresti di sembrare saccente (perché tu ne sai, eh! se ne sai…); sai già che il tuo primo post sarà ignorato o che l’amministratore del gruppo non lo approverà e quindi hai in antipatia ogni singolo membro a prescindere. Chi te lo dice poi che lì dentro ci sia qualcuno che potrebbe apprezzare il tuo romanzo?

Se hai smesso di farti domande e di porti obiezioni e se, alla fine di tutto, resta il fatto che questo benedetto libro lo devi far conoscere, allora animo, nei gruppi ci devi entrare. Cerca quindi di farlo nel modo migliore, prenditi un po’ di tempo per vedere come interagire, evita in ogni modo di fare spamming selvaggio (in pratica non abbandonare indifesi link all’acquisto del tuo libro, senza neppure un rigo di spiegazione) e trova in te l’arte antica del “pazientare”. Perché qualcosa a un certo punto si muove. Se ci riesci, studiati i gruppi su Goodreads (io ci sto provando), perché pare siano i migliori. Trovo che anche le community su Google +, anche se lente, siano piuttosto interessanti. Se non altro i tuoi post ricevono più visibilità sul motore di ricerca. Poi ci sono altre comunità.


editore_2199Le comunità su twitter. Ma esistono?

Forse chiamarle comunità non è corretto, perché su twitter non esistono i gruppi. Esistono però le liste, una sorta di raduno virtuale di utenti che, in qualche modo, cinguettano di argomenti di interesse comune. In genere si entra a far parte di queste liste perché qualcuno ci inserisce, ma quelle che si occupano di letteratura sono davvero poche, almeno che io sappia. Resta il fatto che, nonostante crisi paventate e interrogazioni sulla effettiva utilità, il vivo e vegeto twitter dà vita a discussioni e interazioni davvero straordinarie, e quasi sempre riguardano libri, editoria, cultura in genere. Anche politica e festival di Sanremo, ma questa è un’altra storia. Posso affermare, per esperienza diretta e personale, che il mondo editoriale tutto, compresi critici, giornalisti e blogger, cinguetta amabilmente. Quindi twitter è una meta-comunità letteraria che ne contiene altre più piccole ma molto, molto forti e seguite. Queste ultime si radunano sotto gli #hashtag (non devo dirvi cosa sono, giusto?), e tra i più potenti che conosco posso citare #stoleggendo, #scritturebrevi, #twletteratura, iniziative letterarie di diffusione culturale attraverso i tweet. Io ho partecipato a tutte (e continuo a farlo soprattutto con TwLetteratura) e devo dire che è davvero un modo straordinario per conoscere e farsi conoscere, per entrare a far parte di un circuito di veri appassionati di scrittura e lettura, circuito che spesso passa dal virtuale al reale. Su twitter non esiste una vera e propria netiquette, ma ci sono regole (ogni tweet non può superare i 140 caratteri), comportamenti da evitare (twittare non vuol dire chiacchierare in una chat), linguaggio da utilizzare (assolutamente italiano corretto e niente scorciatoie con abbreviazioni da sms). Tutto questo è utile a uno scrittore per far conoscere il proprio libro? Forse sarebbe meglio dire che è utile per farsi conoscere come autore. La pubblicità vera e propria è appannaggio degli editori, almeno su questo social network. Ci sono scrittori che ogni tanto annunciano l’uscita di un nuovo romanzo, ma le interazioni sono poche. Autocelebrarsi non funziona, a meno che non si sia “influencer” (no, non ve lo dico cosa significa…). Qualcuno ha tentato la strada dello storytelling, ma è un percorso difficile, i tweet si disperdono e, alla lunga, è davvero noioso.

Se vuoi essere informato in anteprima su ciò di cui parlo e scrivo, ti conviene iscriverti al mio Circolo Letterario (qui). In genere “comunico” una volta al mese, quindi non faccio spamming!

La novità delle comunità #Indie.

Veniamo al sodo. In chiusura del post precedente avevo accennato a queste nuove realtà che stanno prendendo piede nel panorama editoriale. Negli USA e nel mondo anglosassone in genere, esistono già da tempo: Indie Writers Alliance è un esempio strutturato di cosa gli scrittori self siano in grado di fare e proporre. In Italia siamo, come sempre, un po’ indietro ma, come dissi una volta, abbiamo il privilegio di osservare gli altri e di copiare meglio. Ultimamente mi sono imbattuta in Sad Dog Project, una sorta di marchio (non si tratta di una casa editrice) sotto il quale pubblicano online autori soprattutto di racconti thriller e noir. Racconti, perché non sono di facile collocazione, di genere perché… è capitato. Si tratta di selfpublishing di qualità. Gli autori si leggono tra di loro, si fanno l’editing (ci sono diversi professionisti nel gruppo), creano gli ebooks e la veste grafica e pubblicano nel sito e negli stores online. Ho chiesto loro perché thriller e noir, perché non dare spazio anche alla narrativa non di genere, per esempio. Mi hanno risposto che è una questione di competenze: loro si sentono “ferrati” in questo, sia come scrittori che come giudici. Trovo questo metodo di selezione coerente e onesto. Altra iniziativa simile è Extraverginedautore, e qui l’intento è palese: selezionare quegli autori self meritevoli (c’è un comitato di lettura interno che valuta i testi) e diffondere quei romanzi già autopubblicati con una vetrina di tutto rispetto (con recensione e tutto il resto). Il sito si prefigge l’arduo compito di “mediare” tra autore e lettore per salvaguardare, in primo luogo, quest’ultimo e far così scemare la naturale diffidenza nei confronti di chi non si avvale del filtro di un editore. In ultimo, non certo per importanza, c’è il progetto Satellite Libri, e qui l’asticella si innalza un pochino (mi perdoneranno gli altri, ma la struttura è poderosa). Non si parla di autori self, ma di editoria indipendente, quindi: librai, editori, scrittori, blogger. Tanta roba… Si sono riuniti tutti insieme con un obbiettivo comune: risolvere la crisi editoriale abbattendo i costi di distribuzione. Ma non solo. Fanno da vetrina e da veicolo per le nuove proposte editoriali, fanno da cassa di risonanza per eventi in tutta Italia, si fanno promotori di iniziative “libresche” (il 7 marzo apre a Roma il primo Secret Store), fanno conoscere al pubblico dei lettori gli autori emergenti, i blogger autorevoli e tutto ciò che circola nel mondo dell’editoria indipendente. Niente mainstream quindi. Ciò che trovo straordinario è che, all’interno della comunità, capita che ci si conosca tra di noi (sì, lo ammetto, ci sono anche io): autori che hanno l’opportunità di incontrare editori indipendenti, editori che chiacchierano con blogger e librai che prendono per mano tutta questa bella gente e la fanno crescere.

So che esistono molte altre iniziative simili utili agli autori Indie, ma queste tre mi sembravano esempi di eccellenza (e poi sono quelle che conosco meglio).

Allora cosa scegliere? I gruppi social o le comunità?

Credo che una scelta tout court non sia possibile, ma che sia necessario ponderare. Perché, in ultima analisi, uno scrittore vorrebbe solo scrivere, isolandosi dal resto del mondo secondo le più antiche tradizioni scrittorie. Allora una selezione va fatta, per evitare di farsi risucchiare da un vortice virtuale nel quale perderemmo la nostra identità. Io sono una scrittrice, eppure sono qui a raccontarvi metodi, strategie, utilizzo del web. Perché? Perché con la condivisione si impara. E nei gruppi si impara. E nelle comunità si impara. E imparare, per chi scrive, è vitale. Cercate di capire cosa vi è più affine, dove vi sentite più a vostro agio, quali di quelle persone (perché sono vive, non sono avatar) invitereste a bere un caffè per farci due chiacchiere. Ricreate nei social network la vostra società letteraria ideale, un po’ come quelle che negli anni sessanta e settanta animavano i salotti e i bar nei centri cittadini (mi vengono in mene il Caffè Greco e Rosati a Roma). Ecco, lì fermatevi più spesso possibile, a scambiare idee e opinioni, a partecipare e proporre. Magari vi viene qualche ispirazione, magari nasce una storia, magari incontrate il prossimo Calvino. Magari la letteratura torna ad essere cultura.

 

Due interviste molto #social

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Io considero le interviste molto seriamente. Nel senso che se qualcuno si prende la briga di farmi domande è perché, penso io, gli interessa ciò che ho da dire. A volte ricevo le domande in anticipo, quindi mi prendo il tempo per riflettere attentamente sulle risposte da dare. Altre volte non so proprio come risponderò, e qui entrano in gioco l’istinto e la consapevolezza. Il 29 settembre mi hanno fatto un’intervista particolarissima: una tweet-intervista. Il blog @CasaLettori mi ha tenuta “incollata” per due ore su twitter per rispondere, 140 caratteri per volta, alle sue domande molto acute e pertinenti sui miei libri e altre faccende ad essi collegate. Straordinario! Sono allenata a cinguettare, partecipo spesso ai “giochi” di TwLetteratura, ma in questo caso sono stata “costretta” a parlare di me. Sembra facile… Ne è nato un tweetbook (come sbagliarsi!) che raccoglie proprio tutta la tweet-intervista. Beh, rileggerla mi ha fatto scoprire davvero molte cose di me di cui non ero certa… Il tweetbook potete scaricarlo qui.

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Poi ci sono le interviste più classiche, che di classico non hanno nulla. Nel senso che sì, ci sono le domande (e si può riflettere sulle risposte), c’è la biografia e c’è la testata giornalistica. Ma essere intervistati da una giornalista che è anche scrittrice è diverso, l’attenzione che mi ha riservato è stata diversa, la cura con cui ha parlato dei miei libri è stata diversa. C’è stata profondità, le domande non sono state buttate lì a casaccio. Ho percepito il reale interesse di Flaminia P. Mancinelli e ho cercato di renderle onore. L’intervista è uscita su L’Indro il 3 ottobre e potete leggerla qui

Indro.