Organizzare il ricovero in ospedale è un po’ come organizzare il matrimonio, la luna di miele, insomma una faccenda importante. Ci vuole il corredo. E bisogna prepararsi per tempo. Memore di quanto è accaduto con mia madre, io ho cominciato a fare la valigia (sì, dai, una piccolina…) due settimane prima. Mi sono dunque resa conto di non avere nulla di ciò che serve: niente camicie da notte (solo pigiami o babydoll, ma non credo vadano bene), niente vestaglia primaverile (posso sopportare quella invernale perché ho freddo, ma primaverile no, per favore…), niente pantofole che si possano definire tali (ciabatte! O al massimo infradito!). Insomma un disastro. Mi sono venute in mente le raccomandazioni di mia madre quando ero ragazza e stavo per sposarmi: “Devi sempre avere nel cassetto un completo da notte nuovo nuovo, non sia mai dovesse servire.”
“Servire per cosa, ma’?”
“Se devi andare in ospedale, per esempio!” E io giù a fare gli scongiuri. Mai conservato niente.
Ho comprato una vestaglia tutta a fiori, di seta, con un collo che è tutto un programma di volants, e sei camicie da notte di tutti i colori, tranne rosa che non mi piace.
“Perché sei?”
“Perché non intendo stare in ospedale un giorno di più.”
“Comunque te la do io la vestaglia.” Mamma ha sempre rispettato quella regola di tenere qualcosa di nuovo nel cassetto. Tira fuori una vestaglia bianca, bellissima, sobria ma con il vezzo di un leggero pizzo ai polsini.
“Bella! Ma da quando ce l’hai?”
“Saranno trent’anni. L’abbiamo usata solo per andare in ospedale…”
“Ah, ecco. Quindi ha il pedigree. Abbiamo ma’? Cos’è, una vestaglia cooperativa?”
“L’ho usata per i miei ultimi interventi, l’ha usata Patrizia per il suo, Alessandra per la nascita di Eleonora. Insomma, solo cose andate bene.” E questo fatto oggettivo soddisfa la mia napoletanità, il mio bisogno di scaramanzia.
Pensare a organizzare questo “viaggio di nozze con la mia vita” è una panacea contro l’ansia. La paura arriva ogni tanto, gratta i piedi di notte, mi sorprende con un sussulto mentre sto facendo altro o mi lega la gola in un nodo che si scioglie nel pianto mentre guardo il cielo limpido di aprile. Poi penso a mia madre, a come sta adesso dopo oltre due mesi dall’intervento, e torna il coraggio. Mi fermo un attimo a riflettere su cosa avrà pensato, provato, sentito lei qualche giorno prima, con noi figlie che le giravamo attorno e prendevamo in mano la sua quotidianità. Avrà pianto anche lei da sola, nel letto? Avrà scacciato i mostri con un’alzata di spalle e un respiro profondo? Indosserò la tua vestaglia delle cose belle, mamma, bianca come la luce, bianca come la vita.
E adesso musica!
Te amio! Sei lo splendore.
E che te devo di’? 😀
C’è chi in primavera prenota i viaggi, a noi tocca prenotare l’ospedale. Tocca anche a me, in maggio, sospetta recidiva. La precedente è rimasta solo sospetta, si spera in bene. L’ospedale è un posto dove non si va volentieri, ma ci ho fatto alcuni degli incontri più straordinari della mia vita, nel bene e nel male. Non so per te come funziona, a me fa bene parlarne, visto che ne parli credo valga anche per te. Fammi sapere quando e dove, se sei a Roma e non sono a mia volta nei casini magari vengo a portarti un sorriso. Baci. mario
Vero, incontri straordinari, specie poterne parlare. Io parlo di ciò che mi accade per esorcizzare la paura, e fa tanto bene il sostegno di tutti. Dai Mario, vedrai che saranno sospetti anche stavolta, e basta, e per te che scrivi gialli va benissimo…
Certo che sono a Roma…