Anna è tornata

Ci sono storie che meritano di essere raccontate, più e più volte, perché capita che l’attualità, la vita coi suoi contraccolpi, gli eventi che si susseguono giorno dopo giorno, le rendano sempre nuove, come se stessero accadendo ora. O poco prima.

Cosa impariamo noi dalla Storia, quella con la S maiuscola che studiamo sui libri? Non molto se poi non siamo in grado di cogliere segnali e sintomi nel nostro futuro presente, segnali e sintomi del fatto che ciò che abbiamo seminato a un cero punto lo dovremo raccogliere, che certi errori hanno sempre un prezzo, che il mondo è un sassolino piccolo piccolo in cui anche il tempo si contrae e siamo tutti destinati a incontrarci.

Questo per dire che la storia di Anna racconta del periodo della guerra nelle Colonie d’Africa, racconta quello che i nostri soldati, le nostre Camicie Nere, facevano in Somalia e Eritrea, racconta ciò che lì noi abbiamo lasciato, la nostra smania di grandezza, la nostra presunzione, la nostra stupidità, la nostra vergogna. E racconta l’amore di una donna che, come Penelope, aspetta il ritorno del suo uomo, mentre la vita l’attraversa e lascia segni indelebili.

Questa storia è successa davvero, io l’ho solo raccolta e romanzata un po’, ho cambiato qualche nome e aggiunto qualche personaggio, ma il succo è uno solo: Anna, la vera Anna, imparò la guerra e l’amore. E la tolleranza e il perdono. Noi oggi cosa abbiamo imparato?

Insomma… Anna è di nuovo in libreria, o meglio è possibile ordinarla sia nella versione digitale che in brossura, e ha anche un vestito nuovo!

Per ora potete trovarla qui e qui. 

“Il passato è una terra straniera; fanno le cose in modo diverso laggiù” [dall’incipit di Messaggero d’amore – Leslie Poles Hartley]

E anche un po’ di musica bella bella ci vuole, per celebrare…

Padre perdonami perché ho peccato – Un racconto

Noi donne siamo universi strani a volte, dove peccato e redenzione possono convivere nel loro lento fluire, senza contraddizione alcuna, senza bisogno di giustificazione, perché questa è intrinseca nel nostro stesso vivere quotidiano. E allora un racconto così ci sta bene, da leggere dentro e fuori, e tra le righe, come un canovaccio a trama fitta.

“Padre perdonami perché ho peccato”. Ogni sera prima di dormire me lo dicevo, come una litania, quasi che a forza di ripeterlo prima o poi potesse giungere dall’alto una mano benevola a benedirmi, pur di farmi smettere. E me lo immaginavo, con lo sguardo indulgente e pieno di bontà, che mi chiedeva: “Perdonarti di cosa, figlia mia?” “Ma come, non lo sai già?”. Il mio rimprovero restava costantemente senza replica, senza commento alcuno.

Mi avevano insegnato sin da piccola che Dio vede e sente tutto, e me la sentivo addosso questa presenza, ingombrante, invadente, invisibile, indiscreta. E allora stavo attenta, facevo tutto per bene, e mi guardavo attorno poi, con lo sguardo ammiccante come a dire “Visto? Registra tutto tu, non barare!” Lo facevo anche per evitare il fastidioso rito della Confessione, perché io a quel Prete non volevo certo raccontare i fatti miei. E allora arrivavo alla domenica monda da ogni colpa e l’unico peccato che ripetevo, ogni volta, al volto a pois dietro la grata, era: “Ho detto stupida a mia sorella”, e via con la piena assoluzione a pregustare il sapore acidulo dell’ostia consacrata.

I preti mi inquietavano. Chi glielo dava quel potere di decidere se potevi o non potevi comunicarti, ricevere il corpo di Cristo, essere degno di condividere la Sacra Mensa? E poi tanto assolvevano tutti. Davvero erano in contatto diretto col Padreterno? Allora dovevano essere buonissimi, eh già. In sacrestia, quando ci preparavamo per servire la Messa però, a volte volava qualche scappellotto, a volte anche qualche cinghiata, come faceva mio padre. Però c’erano anche quei momenti che il prete ti dava l’ostia prima di consacrarla, e ti portava di là mentre si vestiva coi paramenti, e tu dovevi assisterlo. Mio padre no, non mi faceva assistere quando si cambiava, lui non si faceva neanche vedere, se è per questo, perché lui arrivava di notte.

Fu dopo lo scandalo di quel bambino che si tolse la vita e che lasciò una lettera di accusa per il prete che smisi del tutto di andare in Chiesa. Ma non smisi di parlare con Dio, che c’entrava lui? Io ero sempre buona, ne ero certa, quindi avevo diritto ad una conversazione diretta. E ora mi sentivo in colpa, ma lui non mi dava soddisfazione, non mi assolveva, non diceva nulla.

“Padre perdonami perché ho peccato” ancora una volta, ancora una volta, ti prego rispondimi. “Perdonarti di cosa, figlia mia?” “Ma come, non lo sai già?” Tanto sapevo che non avrebbe replicato. “Diciamo che la mia è una domanda retorica.” La sentivo davvero, che mi parlava dentro, quella voce, non la stavo immaginando per disperazione. Si era stancato anche lui della mia domanda, sempre la stessa da mesi ormai? “Ma io ho peccato davvero, secondo i tuoi comandamenti.” “Sul serio? E quale avresti violato?” “Ho desiderato l’uomo di un’altra donna, l’ho amato e lo amo ancora dal profondo della mia anima e questo ha provocato in lui turbamento e paura e in me profonda vergogna.” “E tu davvero pensi che questo sia peccato? Tu mi stai parlando d’amore, non c’è legge umana che possa contrastare un sentimento così divino. I moti dell’anima sono segreti e misteriosi, agiscono per proprio conto, si muovono dall’uno all’altro secondo percorsi prestabiliti prima ancora che tutto ciò esistesse, prima che il primo uomo e la prima donna si incontrassero e commettessero l’unico peccato davvero imperdonabile.” “Tradire la tua fiducia è stato così grave? Tu non sapevi che sarebbe accaduto? Non potevi fermarli?” “Il libero arbitrio è questo. Una scelta, tra ciò che è bene e ciò che non lo è. Nessuna interferenza, nessun appello. E tu lo sai bene. Tu sei stata tradita, ferita, umiliata, e tante volte avresti potuto allontanare da te l’amore per questo, ma non l’hai fatto. Ecco perché non devo perdonarti nulla.” “Allora mi assolvi?” “Assolvo senza riserva alcuna la tua anima, tu assolvi te stessa. Non hai colpe da espiare, non ne hai mai avute.”

Non l’ho più sentito da quella sera, non ce n’era bisogno. Ne ho  ascoltata un’altra  di voce, più terrena…pare che canti.